In questi ultimi mesi, nel mio cuore e dunque anche nella mia vita, ha luogo una battaglia senza esclusione di colpi da una parte l’esigenza, il bisogno di essere fedeli a se stessi, di seguire ciò che si è e dall’altra la tentazione, a volte feroce, di “mettere una maschera” per piacere e piacersi. Confido che tale battaglia non sia comune solo a me ma coinvolga un po’ tutti noi, chi più, chi meno, per questo ho deciso di dedicare un po’ di tempo per riflettere con voi su questo tema.
Vorrei lasciare da parte le frasi fatte, le quali inneggiano all’essere se stessi sempre e comunque, senza se e senza ma perché esse hanno il profondo vulnus di non tener conto di una realtà: siamo essere bisognosi quasi avidamente di amore, di attenzione e di affetto. Nasciamo così, fin da piccoli – basta osservare un bambino – vogliamo essere il centro del mondo, amiamo le attenzioni di chi ama e non vorremmo mai essere abbandonati o messi in secondo piano. Questa attitudine ce la portiamo dietro e dentro, da sempre e per sempre, a volte meno manifesta, a volte invece più palese, un esempio paradigmatico sono i social dove la corsa ai like non è altro che una trasposizione virtuale di quella fame amorosa che abbiamo nel cuore. Ognuno di noi ha questo vuoto che vuole riempire, questa verità che vuole disinfettare.
Partendo da questa considerazione di base, diventa più semplice, forse anche più facile, leggere e comprendere i nostri comportamenti e quelli dei nostri simili e allo stesso tempo diviene meno difficile evitare di condannare in quanto siamo tutti simili, in un modo o in un altro. Questa attitudine la potremmo definire sana, fisiologica, funzionale quando rientra all’interno di alcuni parametri, uno di questi è la fedeltà a se stessi, cioè quando condivido un contenuto, qualsiasi esso sia, mostrando parti di me reali allora siamo all’interno di una condivisione del mio essere che coincide con il mio apparire. Può accadere il caso, assai frequente, che ciò che metto in mostra non è ciò che sono ma ciò che credo che gli altri vorrebbero che io fossi (è una perifrasi tanto contorta quanto il ragionamento che vi è soggiacente). Questo genere di fenomeno è scaturito spesso da una scarsa autostima per la quale io non accettando me stesso, decido di cambiare, mascherarmi in qualcuno altro pur di attirare qualche attenzione, sguardo; il tutto può essere alimentato da una paura di fondo che potremmo chiamare “paura della solitudine” per la quale se non agisco in quel modo gli altri scopriranno il mio vero essere e allora sarò lasciato solo, gli altri mi abbandoneranno.
In questo processo di mascheramento o di metamorfosi vi sono molteplici rischi sia personali sia relazionali, il primo che viene in testa è relativo alla diluizione di ciò che siamo, ognuno di noi nasce con determinate caratteristiche, con doni unici, che se non custoditi e fatti fruttificare si perdono, con sfortuna nostra e di chi ci sta intorno e lì diventiamo poveri perché abbiamo tradito la nostra unicità per andare a copiare l’unicità di un altro. Il secondo rischio è nella sfera relazionale, può accadere, ed accade, che qualcuno trovi interessante il nostro “copione recitativo” e decida di intessere con noi una relazione, in quel momento diventa assai arduo distinguere cosa ha attirato e cosa lega me a quella persona: il vero me o la mia controfigura? Perché come graffiatamente scrive Andrè Berthiaume: “Indossiamo tutti delle maschere, e arriva un momento in cui non possiamo toglierle senza toglierci la pelle”.
Dunque è pericoloso fingere di essere qualcun altro ma è ugualmente rischio l’essere fedele a sè, correndo il rischio ipotetico di un’amara solitudine. Qui la mia analisi si arresta, ho tracciato abbozzandole alcune piste riflessive, come ho detto all’inizio non ho risposte ma vorrei che insieme tracciassimo altri percorsi ipotetici, quindi vi invito ad interagire con me nei modi che conoscete perché sono sicuro che è un tema che a tutti ci accomuna.
Altri articoli ed altre riflessioni potete trovarli qui: https://www.legraindeble.it/