Se fosse solo per noi è una meditazione a partire dal Vangelo di Luca, capitolo nove.
L’evangelista Luca oggi ci descrive una scena evangelica ai più iper conosciuta, la cosiddetta “moltiplicazione dei pani e dei pesci”. Il contesto in cui il racconto si innesta è molto significativo; infatti poco prima (Lc 9, 1 – 6) vi era stato l’invio in missione dei dodici ed ora, nel brano odierno, ci viene narrato il ritorno di questi degli apostoli, perciò Luca ci dice: “Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano compiuto” (Lc 9, 10). Qui già possiamo notare un particolare non da poco, gli apostoli non narrano le loro vicende, narrano le loro azioni, i lori miracoli, i loro prodigi, come verrà maggiormente descritto negli altri sinottici, sembrano essere dimentichi di una realtà invece centrale: la loro forza, non è loro, ma è di Gesù, è Lui che gliel’ha trasmessa in vista della missione. Per ascoltare meglio il loro racconto, il Maestro si ritira in disparte, prendendoli con sé. Un momento di intimità tra il Cristo e i suoi.
La folla, però, viene a conoscenza di ciò e li raggiunge e Gesù, lungi dall’evitarli, si sofferma a parlare loro del Regno e a guarirgli. Nel mentre che scende la sera, i Dodici si fanno prossimi a Gesù e lo invitano a congedare la folla affinché possa trovare alloggio per riposarsi e cibo per sfamarsi. Qui, come poco prima, i Dodici ragionano come se Gesù non ci fosse, come se tutto dipendesse da loro e dalle loro esclusive forze; ragionano a partire da se stessi per finire in se stessi, forse con un secondo fine nascosto: così possiamo tornare a stare un po’ finalmente soli con il Maestro e Gesù che legge nei cuori e ama allargarli nell’amore pone qui una frase emblematica per ogni cristiano: «Voi stessi date loro da mangiare».
Gesù non ama lo scarica barile delle responsabilità, non vuole che i suoi amici imparino lo stile dell’indifferenza e dell’egoismo ma li esorta a prendersi cura, farsi carico dell’altro, o come dirà Paolo a “portare i pesi gli uni degli altri”. Gli apostoli, essendo persone molto pratiche, rimandano la questione a Gesù quasi a dirgli: “Non è possibile, non abbiamo cibo nemmeno per sfamare noi, come possiamo sfamare più di cinquemila persone con cinque pani e due pesci?”. Di nuovo il realismo umano non tiene conto di Gesù, della sua Presenza, della Sua forza, infatti è proprio qui che avviene il miracolo, con tutta la gestualità della Celebrazione Eucaristica.
Gli apostoli non hanno torto, ma nemmeno hanno ragione, partono dalla loro esperienza, dalle loro conoscenza, conoscono i loro limiti, le loro vulnerabilità. Partono dalla consapevolezza che sono uomini e che ci sono delle situazioni che umanamente sono impossibili da comprendere, figuriamoci se si possono districare e risolvere. Se finisse tutto qui, la storia si ripeterebbe uguale a se stessa ma, grazie a Dio, Gesù si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, ha effuso il suo Spirito e ci ha resi partecipi della sua natura divina, se dimoriamo in Lui, la Sua forza sarà la nostra forza e allora sì grideremo: “Senza di te non possiamo far nulla” ma allo stesso tempo sapremmo che con Lui tutto è possibile, perché “nulla è impossibile a Dio” (Lc 1, 37).
E così, al limitare delle nostre forze, quando ci rendiamo conto di stare per gettare la spugna, quando vediamo che i problemi sono più grandi delle soluzioni, quando la gente affamata di ogni cibo materiale e spirituale è di più di quella che riusciamo a sfamare, proprio in quel momento Dio interviene e compie ciò che manca, a noi sta di avanzare nella speranza e nella fede, operando con gioia le opere di carità del Signore.
Altre riflessioni sulla Parola di Dio le possiamo trovare qui in Lievito nella pasta.