Come la parola poetica si fa immagine della Parola di Dio
La nuova rubrica
Con questo breve articolo, vogliamo inaugurare una nuova rubrica dal titolo Scribi del Mistero. Attraverso una serie di riflessioni cercheremo di conoscere alcune figure poetiche del Novecento e comprenderemo in che modo siano state davvero, con la loro spiritualità, passando attraverso i loro tormenti, scribi del mistero di Dio, che sentivano palpitare nelle profondità del loro cuore.
Scribi del Mistero
Scribi del Mistero. L’espressione che si vuole porre a titolo di questa nuova rubrica proviene da una poesia di D.M. Turoldo, In ricordo di Pessoa, contenuta nella silloge Nel segno del Tau. Il poeta scrive:
Anche le cose sono parole scrigni di sillabe divine: parole “dimora dell’Essere”, e voi gli scribi del Mistero, o poeti. Un solo verso fessura sull’infinito come il costato aperto di Cristo un solo verso può fare più grande l’universo.
Non cose, ma parole
I poeti vengono definiti da Turoldo scribi del Mistero, come se appartenessero ad una compagine umana che guarda alle cose del mondo e non vede solo cose, ma parole. Ogni parola è per loro scrigno di sillabe divine, pensiero pensato e volontà in atto, dimora di Colui che è. Il poeta riesce a cogliere l’infinito, o meglio, l’Eterno che si schiude entro ogni recesso dell’esistenza, perché in ogni frammento di vita è in grado di cogliere quell’eco del dialogo trinitario che vivifica il mondo.
Simile allo svegliarsi
Con D.M. Turoldo, dunque, comincia la nostra esplorazione nel mondo dei poeti, nella loro anima sempre tormentata dalla duplice percezione dell’assenza di Dio e della sua mirabile presenza. Il lavoro del poeta è simile allo svegliarsi di prima mattina, quando ancora la natura sonnecchia avvolta dalle tenebre di una notte che sta trascorrendo, ma che non è ancora finita del tutto: armati della sola bisaccia dell’ispirazione e del solo pane della parola, il poeta scruta i primi raggi del sole farsi timidamente avanti sulle linee dell’orizzonte. Piano piano, scavando con pazienza negli antri della propria interiorità, il poeta diventa immagine della Parola e con un solo verso fa più grande l’universo.