Maria Addolorata De Pascali: una suora ‘santa’
I fedeli sono intimamente convinti che il Signore Iddio ad ogni epoca non manca d’indicare i rimedi necessari per superare le difficoltà. Potremmo dire che se ogni epoca ha i suoi mali che la tormentano, paradossalmente ha anche i suoi santi che la salvano. «La memoria dei Santi – affermava San Bernardo di Chiaravalle – suscita in noi il desiderio di godere della loro compagnia così dolce». Quella che sto per raccontarvi è una storia semplice. La storia di una suora santa. Ma non ancora ufficialmente santa! Non è un gioco di parole: sappiamo, infatti, che oltre ai santi ufficialmente canonizzati esiste quella sterminata schiera di santi sconosciuti che popola la cosiddetta «Chiesa trionfante», quella comunione di persone che al cospetto di Dio intercede incessantemente per noi uomini ancora nella prova e bisognosi della grazia divina.
La vita di Maria Addolorata
La Venerabile Suor Santina Addolorata De Pascali si inserisce in quella scia di donne e uomini che negli ultimi due secoli (e più) hanno testimoniato santamente la loro fede cristiana in terra leccese.
Aquarica di Lecce. Giovedì 10 giugno 1897. È una calda giornata di sole in una Puglia arretrata, povera ed analfabeta. Una terra generosa ma segnata dall’arretratezza e da una diffusa povertà. Ultimogenita dei coniugi De Pascali, Maria Addolorata, viene alla luce in una famiglia relativamente benestante. Una famiglia che «nutre una fede cristallina ed ha una grande condotta morale». Il padre Vito Oronzo, era, infatti, un contadino abbastanza possidente, essendo proprietario di diversi terreni. La madre Pantalea Rosaria De Masi, grande educatrice, era una donna di profonda fede, è da lei che la figlia acquisisce, certamente, quel senso religioso e di timore di Dio. La coppia avrà in totale sette figli. La piccola Addolorata venne portata al fonte nella stessa parrocchia di Aquarica, dedicata a San Gregorio Nazianzeno, l’11 giugno 1897. In famiglia, Maria Addolorata, gustò e percepì una fede profonda e ricevette dai genitori una buona educazione umana e cristiana, che venne corroborata dall’esempio e dalla buona testimonianza di educatori che incontrò durante la sua infanzia: sacerdoti e suore. Tanto che abbastanza precocemente manifestò segni di vocazione. Ricevette il sacramento della Cresima sabato 26 luglio 1902 dalle mani del Vescovo di Lecce Mons. Gennaro Trama (1856 – 1927).
I lutti familiari
La perdita prematura del padre Vito Oronzo, avvenuta nel novembre 1903, ebbe un particolare influsso sulla sua vita spirituale: crescendo, infatti, maturò l’idea di mettere la propria esistenza al servizio di coloro che erano nel bisogno e nell’indigenza. La piccola Maria Addolorata è inviata dalla madre a Lecce, dalle Suore della Carità dell’Immacolata Concezione d’Ivrea, fondate dalla Beata Antonia Maria Verna. Rimane nell’istituto “Margherita di Savoia”, diretto dalle stesse suore per cinque anni frequentando, così, le scuole elementari con ottimi profitti.
Nel luglio 1917 la vita della Serva di Dio fu segnata da un nuovo grave lutto, muore la mamma Pantalea. La morte della mamma segnò una profonda ferita nel suo animo. La croce, la sofferenza nell’anima marcò profondamente i passi della sua vita. Contemporaneamente andava maturando la decisione per la vita religiosa, così nel febbraio 1920, dopo l’incontro con la Beata Maddalena Starace (1845 – 1921), la Serva di Dio venne ammessa tra le Compassioniste Serve di Maria. Così l’anno seguente, anno della morte della Fondatrice, emise i voti temporanei e nel luglio 1927 emise quelli perpetui assumendo il nome di Santina. L’esperienza tra le Compassioniste fu di breve durata.
Amare, patire, operare
Il Cuore SS.mo di Gesù esorterà la Serva di Dio a fondare una nuova Congregazione. Nell’aprile 1929, dà inizio, così, a Soleto, paesino a circa 18 km dal capoluogo provinciale, insieme a tre giovani, Teresa Rizzo, Idrusa Corchia, Annunziata Petranca, al primo nucleo delle Suore Discepole del Sacro Cuore. La sua scelta radicale fu quella di vivere con Cristo crocefisso che ha aperto, per il mondo, il suo Cuore Divino sulla Croce: da qui il nome dell’istituto.
«Amare, patire e operare» è la sintesi della sua vita, e della sua opera, spesa nell’unione intima con Dio e nell’esercizio intenso dell’amore operativo. Di forte spiritualità cristocentrica, Suor Santina faceva della volontà di Dio “il suo cibo” e in tale adesione trovava la forza per un’attività instancabile, condotta con sottomissione, e dedizione straordinaria che sorgeva da una profonda pietà eucaristica ed una profonda devozione al Cuore di Gesù. Lo sviluppo della nuova fondazione fu sostenuto ed incoraggiato dal Vescovo di Lecce, Mons. Alberto Costa (1873 –1950), dal clero locale e particolarmente dal parroco di Acaja don Gualberto Baglivi.
Suor Santina, il 20 maggio 1939, è eletta superiora generale. Il 7 settembre del 1942 il Vescovo Costa accoglie i primi voti semplici delle suore; lo stesso Mons. Costa concede un primo riconoscimento come Istituto di diritto diocesano nel 1948. Suor Santina è madre per tutti, specialmente per i poveri, per i piccoli, per gli emarginati che serve con carità generosa e instancabile. Il bisogno e i drammi dei fratelli le aprono ancor più il cuore per farsi accoglienza di ogni gemito, dolore, preoccupazione sociale o privata.
Il fulcro della vita di Suor Santina
Il suo sostegno principale, il fulcro vitale della sua vita interiore e di tutta l’opera e l’azione apostolica è per Suor Santina l’Eucaristia, suo grande amore, centro della sua pietà, cibo, conforto e gaudio delle sue giornate dense di preghiera e di fatica. In Suor Santina «era tale il suo desiderio di perfezione che nessuna difficoltà la fermava. In cima alla sua azione era presente innanzitutto e soprattutto la Gloria di Dio e la salvezza delle anime». Sopportò non poche sofferenze più acute, come non di rado accade per i santi, che dovette sopportare proprio a motivo di alcuni uomini di quella Chiesa che ella tanto amava. Anche in questo fu, in certo qual modo, associata alla persona di Gesù.
Nel marzo 1977 si evidenzia, con una emorragia, il carcinoma all’utero che poi la porterà alla morte. Rifiutò l’intervento chirurgico per restare in comunità accanto alle sue consorelle ma la sua salute peggiora sempre di più ed è costretta, per questo, a letto. Il 13 maggio 1981 prega e offre la vita per la salute del Papa San Giovanni Paolo II. Il 19 maggio 1981, alle ore 20.30, Suor Santina si spense serenamente ad 84 anni d’età.
Vittima di espiazione, consumata sull’altare quotidiano
I testimoni ricordano come la Suor Santina «sopportò con fortezza d’animo l’ultima sua malattia che la portò alla morte. In questa circostanza ricordo che invitava tutti ad aver coraggio e fiducia nel Sacro Cuore». Tutta la sua esistenza fu improntata «all’umiltà, semplicità e nascondimento. Mai una parola che ritornasse a sua lode […] Rifuggiva da ogni onore e da ogni particolare attenzione». Una consorella ricorda che Suor Santina «sopportò le sofferenze derivanti dalla sua malattia con grande rassegnazione, offrendo i propri dolori per il bene dell’Istituto». Il suo funerale è molto partecipato: tanti fedeli, sacerdoti e autorità civili. Il rito funebre, celebrato il giorno successivo, è presieduto da Mons. Michele Mincuzzi, Arcivescovo Metropolita di Lecce. Venne dapprima sepolta nella Cappella funeraria dell’Istituto nel cimitero di Lecce. Dopo un anno e mezzo dalla sepoltura la salma è traslata nella Cappella della Casa Generalizia di Lecce.
La Congregazione ebbe uno sviluppo progressivo, dapprima in Puglia, poi in Calabria, Basilicata e Campania. Le suore, molto amate dalle popolazioni del sud Italia, svolgono svariate attività parrocchiali, fondarono asili, orfanotrofi, laboratori di ricamo e cucito, scuole materne, case di cura, case di riposo per anziani. Ora sono presenti anche in Madagascar.
Papa Francesco l’ha dichiarata Venerabile il 20 gennaio 2017.
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Andrea Maniglia