Dalla “morte vitale” alla vita in Ps. 33
“Non invano”
Continuando nel solco della scorsa meditazione sul salmo 33 (link dell’articolo: https://www.legraindeble.it/davanti-al-regno/), tentiamo di focalizzare i punti salienti della riflessione sulla scrittura salmodica, cercando di intravedere, “rapiti dall’amore” in essa la prefigurazione delle vicende del Nuovo Testamento, sulla scia di quanto scritto da Agostino nelle Enarrationes in Psalmos. Nella conclusione dello scorso articolo si affermava che Davide è figura di Gesù. Il primo, alla presenza del re Achis, «cambiò comportamento ai loro occhi e faceva il folle tra le loro mani: tracciava segni strani sulle porte e lasciava colare la saliva sulla barba». Dice Agostino: «dobbiamo ora cercare che cosa significa che faceva cose strane e che suonava il timpano alle porte. […] Non invano sono dette queste cose». Se il “mutamento del volto” di Davide è prefigurazione del mutamento del Sacrificio ed indica il Sacrificio istituito da Cristo con l’Eucarestia, così il “colare della saliva”, essendo peculiarità degli infanti, sostanzia la prefigurazione dell’attributo più importante della Vittima Sacrificale: l’innocenza.
Il significato
Dobbiamo cercare che cosa significa: deve essere il monito più importante della nostra vita. Nulla capita a caso, nulla è scritto senza un senso: dobbiamo essere certi che la mano sapiente di Dio opera nella nostra esistenza, cucendo per noi ogni attimo, consolando col Suo tenero sorriso, ogni sofferenza, ogni cruccio, ripetendo ancora una volta e sempre al nostro cuore di pietra che per separarci dalla fragilità del divenire ed essere abbracciati dall’Eternità del Suo Tempo, dobbiamo sperare in Lui, avere fede in Lui, amarLo e credere fermamente alla Sua Presenza viva, vera, meravigliosa.
Morte vitale
Ma noi, spesso, non abbiamo la forza di crederci e continuiamo a giustificare ogni nostra vana azione ed ogni effimera parola, pensando soltanto alla lontananza di Dio da questo mondo intriso di male. Ma l’orizzonte della nostra mente deve e può cambiare se solo pensassimo che Dio non si è allontanato da noi. Noi ci siamo allontanati da Lui, inseguendo i fugaci fantasmi di bagliori che ci promettono la felicità, ma che non la sostanziano. Non riusciamo quasi nemmeno più a credere che Dio esista davvero, che sia presente proprio nella profondità della nostra anima e che senza di Lui non avremmo la forza nemmeno di respirare. Pensiamo sempre troppo poco all’attimo in cui ce ne andremo da questa “morte vitale” – come scrive Agostino – e al cospetto del Giudice Eterno vedremo chiaramente lo stato della nostra anima per rendere la vita a colui che è stato il Nostro Principio e che dovrebbe essere la nostra felice Fine.
“Con me”
Ma nulla è a caso e niente rispetta soltanto una fortuita coincidenza. È scritto al v. 4 del salmo: μεγαλύνατε τὸν κύριον σὺν ἐμοί, καὶ ὑψώσωμεν τὸ ὄνομα αὐτοῦ ἐπὶ τὸ αὐτό (megalùnate ton kùrion sun emoi, kai upsòsomen to ònoma autou epì to autò), che significa “Magnificate il Signore con me ed esaltiamo il suo nome allo stesso modo”. Riconoscere la grandezza del Signore vuol dire volgere lo sguardo verso l’alto per contemplare la sua altezza ed essere rapiti dall’amore, ma non possiamo farlo da soli: prima abbiamo bisogno della dimensione orizzontale dell’amore fraterno, di un fratello che σὺν ἐμοί, “con me”, abbia la forza e mi dia la forza di guardare al cielo. Scrive Agostino: «accendete in voi l’amore, fratelli, e gridate, tutti voi, e dite: Magnificate il Signore con me. Sia in voi questo fervore. Perché vi vengon lette queste cose, e vi vengono spiegate? Se amate Dio, rapite all’amore di Dio tutti coloro che sono uniti a voi, tutti quanti abitano nella vostra casa; se amate il Corpo di Cristo, cioè l’unità della Chiesa, rapiteli affinché ne gioiscano con voi, e dite: Magnificate il Signore con me!».