La storia di M. Aristea Ceccarelli, laica, sposa, madre
Maria Aristea fu donna e vittima capace di fronteggiare una cultura segnata dall’egoismo e dall’arroganza. Crocefissa invisibile ha raccolto i pezzi di altre croci e unificandole le ha rese più leggere. Donna libera e madre liberante, maturata al sole della carità divina.
Era nata ad Ancona il 5 novembre 1883, dodicesima di sedici figli, di cui solo cinque sopravvissero all’infanzia. Il padre, Antonio e la madre, Nicolina Menghini, battezzarono la figlioletta il 9 dicembre dello stesso anno. La madre era di modestissime condizioni e d’indole assai chiusa, dura, completamente analfabeta. Il padre, Antonio, prima di unirsi a lei aveva già contratto matrimonio con un’altra donna, dalla quale aveva avuto un figlio. Questi aveva un carattere estremamente irascibile, duro, scontroso e violento. Era dedito al gioco, al bere e gran bestemmiatore. Si trasferì ad Ancona, nel rione Archi dove gestiva una bettola d’infimo ordine che esigeva l’enorme fatica di tutta la famiglia e dava un reddito minimo.
Aristea, fin da piccolissima, appena poteva si recava nella vicina chiesa del Crocifisso ove passava lunghi momenti parlando cuore a cuore con Gesù, il suo grande amico e confidente e con la Vergine Santa. Più volte, per questo, giungeva tardi per cui era sgridata e
punita. Ogni giorno lavorava instancabilmente, prestandosi a ogni servigio chiestole non solo in casa, ma anche dalle vicine. A sei anni ricevette la cresima. Benché desiderasse ardentemente poter andare a scuola, non vi fu mai mandata. Si mise d’accordo con una maestra che, per un soldo, le dava una lezione. A circa undici anni fece la prima comunione, nella totale indifferenza dei genitori, che neppure l’accompagnarono in chiesa. La sua indicibile gioia fu solo la sua intimità con Gesù, che
aumentò sempre più.
Dopo quattro anni di fidanzamento, il 9 ottobre 1901 si sposò con Igino (Gino) Bernacchia, che i suoi genitori le avevano scelto senza chiederne il parere. Egli si rivelò subito molto violento, dedito al vino e alla bestemmia, con relazioni e amanti. Per tutta la vita matrimoniale, la maltrattò e offese in ogni modo, tentando più volte di ucciderla.
Appena sposata, andò a vivere nella casa dei suoceri, commercianti benestanti. Questa famiglia, nonostante il benessere, era estremamente divisa, contraria alla religione e alla morale cristiana. Più che come nuora fu accolta come donna di servizio.
Nel 1902, il giorno di Pasqua, M. Aristea ebbe la perforazione del globo oculare destro, ove da tempo soffriva dolori lancinanti. Dopo cinque anni di tormentose sofferenze e cure, dovette sottoporsi all’espianto dell’occhio. L’ultima cosa che volle vedere con esso, fu l’Immacolata, che andò a salutare nella cappella dell’ospedale. Le raccontarono che addormentata sotto anestesia, aveva pregato e cantato alla Madonna. Da quel momento le sofferenze, progressive e sempre più atroci, fra cui la
nevralgia del trigemino, coliche e dolori di ogni tipo, non l’abbandonarono più. Quando il marito venne assunto dalle ferrovie, si trasferirono a Roma e andarono ad abitare in via Ancona.
Aristea prese a frequentare assiduamente la chiesa del Corpus Domini, all’inizio di via Nomentana, ove conobbe il camilliano P. Domenico Verrinot, che divenne suo padre spirituale. In questo periodo aggiunse al suo nome pure quello di Maria. Il 4 febbraio 1925, il P. Domenico morì e M. Aristea si affidò alla guida spirituale del P. Angelo Ferroni, anch’egli camilliano. Nel 1927, morto P. Ferroni, divenne suo direttore spirituale il P. Bini, anche lui figlio di San Camillo. La guida del P. Bini l’avviò
alla crescita della carità e disponibilità verso gli infermi, unendola così alla spiritualità e all’apostolato dell’Ordine di S. Camillo De Lellis. Maria Aristea sviluppò al massimo quel grande amore per gli infermi, che già era sorto in lei nelle precedenti degenze ospedaliere. Si recava più volte alla settimana al Sanatorio Umberto I dov’erano ricoverati i malati di tubercolosi, fra cui molti bambini. Visitava molti ammalati nelle loro case, consolandoli spiritualmente e aiutandoli materialmente, come poteva.
Si offrì vittima per l’Ordine di San Camillo e divenne ardente sostenitrice delle vocazioni camilliane, che chiamava “suoi figli”. Per l’obbedienza del P. Bini accettò di scrivere il suo “Diario” che, essendo quasi analfabeta, dovette dettare a un’amica.
La casa di M. Aristea si aprì sempre più alle persone di ogni età e tipo, che andavano a lei per consiglio, preghiera, intercessione, luce, aiuto e conforto spirituale. Anche notevoli personalità l’avevano in grande stima, come il Presidente della Repubblica italiana, Antonio Segni e la sua famiglia, che spesso l’invitavano al Quirinale. L’immensa pazienza, umiltà, rassegnazione, amore, mitezza e preghiera di M. Aristea ottennero la conversione del marito, che morì, riconciliato con Dio,
il 30 gennaio 1964. Fu un grande dolore per Aristea, che lo aveva sempre amato, venerato e obbedito, vedendo in lui la mano di Dio che la purificava incessantemente. Le sue malattie e sofferenze crescevano incessantemente. Fu colpita anche da idropisia e, nell’aprile 1968, il cuore peggiorò notevolmente. Ormai non usciva quasi più. Riceveva ogni giorno la S. Comunione. Le sue condizioni di salute si aggravavano sempre più, non chiedeva nulla, ringraziava di tutto e rimaneva abitualmente assorta in continua e profonda preghiera. Molte persone si recavano alla sua casa per vederla ancora
una volta. Al termine di una vita d’inaudite sofferenze, sopportate con fede, pazienza e amore eccezionali, morì piamente alle ore 23:25, del 24 dicembre 1971. Era la vigilia di Natale, la festa che tanto amava.
I funerali furono celebrati solennemente nella parrocchia di S. Camillo De Lellis, il 26 dicembre. Alla celebrazione era presente numeroso clero, religiosi ed una moltitudine di fedeli. Fu sepolta, in un primo momento, al Verano nella cappella dei Padri camilliani. Il 17 maggio 1972 la sua salma fu traslata nella chiesa di S. Camillo dove tuttora riposa, numerose persone quotidianamente visitano la sua sepoltura e in molti si affidano alla sua intercessione per ottenere speciali grazie. Il 9 aprile scorso papa Francesco l’ha dichiarata Venerabile.
Aristea è di quelle figure sconosciute, ignote ma belle tanto da essere gelosamente custodite in quel prezioso scrigno di grazia che è Roma.
Per approfondire:
Andrea Maniglia – Patiendo et orando. Maria Aristea Ceccarelli. Laica, sposa… madre – Edizioni Tau.
Andrea Maniglia