“Un finale che sa di inizio, più che di compimento. O meglio di compimento che è un nuovo inizio, che, ora più che mai, chiama in causa proprio i suoi. E noi con loro.” A quale missione ci chiama il Vangelo di oggi? Scopriamolo con la meditazione di Francesco Pacia.
Ascensione del Signore 12 maggio
In quel tempo, Gesù apparve agli Undici e disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demòni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno». Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro, fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio. Allora essi partirono e predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che la accompagnavano. (Mc 16, 15-20)
Una fine
È il finale del Vangelo di Marco. Non quello originario, che lasciava il lettore interdetto davanti alla fuga sgomenta delle donne dal sepolcro il mattino di Pasqua (Mc 16,8). Un finale aggiunto dopo, ma canonico, riconosciuto ispirato, e quindi Parola di Dio. Un finale solenne, in cui l’intronizzazione di Gesù alla destra del Padre, Signore ormai della gloria, al termine della sua missione, conclusa con l’Ascensione al cielo, si intreccia all’invio degli apostoli per le strade del mondo.
Un finale che sa di inizio, più che di compimento. O meglio di compimento che è un nuovo inizio, che, ora più che mai, chiama in causa proprio i suoi. E noi con loro. Siamo ora noi i mandati. Noi, chiamati a continuare la sua missione, a essere le sue mani e i suoi piedi, il suo cuore, per portare a tutti la buona notizia, il Vangelo, che è Lui, il suo essere morto e risorto perché tutti abbiano la vita in abbondanza.
Un inizio
È un inizio che non ignora la mancanza e l’imperfezione. Innanzitutto, quella degli Undici, feriti dalla “perdita” di Giuda. Undici, e non più Dodici. Perfettamente imperfetti. Mancanza che già sa di nuovo spazio di accoglienza. Imperfezione, che è nuova consapevolezza, dopo tutto l’affaire della Passione: consapevolezza della grandezza della loro stessa piccolezza di fuggiti davanti alla Croce, ma anche di perdonati, amati e riconfermati; consapevolezza di essere vaso di creta, riempito comunque di un tesoro grande, mentre guardano lo scenario grande che il Signore ora propone loro: sconfinare, perché ogni creatura sia raggiunta dalla gioia della salvezza, di cui loro per primi hanno fatto esperienza.
Non esisteranno più confini, linee immaginarie o reali, muri, recinti, che loro – e noi – con il Signore non affronteranno, non attraverseranno. Non ci saranno ponti che non costruiranno o attraverseranno, sepolcri che non scoperchieranno, miserie e povertà che non abbracceranno: i loro cuori si dilateranno per far spazio a tutto e tutti, per raggiungere tutti. Non saranno soli, non saremo soli. Lui camminerà al nostro fianco. Agirà e opererà in e con loro. In e con noi.
È l’inizio della nostra parte nella storia della salvezza, quella che si apre dopo l’Ascensione. Certo, non mancheranno difficoltà e rifiuti, il male ci farà sempre resistenza e ostilità. Ci sarà sempre un corpo a corpo con il male e il rifiuto, con quelle tenebre che non hanno accolto la luce. Ce lo ha detto, ma ci ha detto anche che non vinceranno. Perché lui cammina con noi.
Per sempre presente
Non se ne è andato, quindi. È solo diversamente presente. Con l’Ascensione l’umanità è entrata per sempre nel suo mistero, nel mistero di Dio, ma anche il suo mistero è entrato definitivamente e pienamente in noi, nel nostro mistero umano: si è unito a ogni uomo e ogni storia e ha portato ogni uomo e ogni storia allo stato della sua pienezza. E, come vedremo a Pentecoste, con il dono dello Spirito, ci ha reso suo Corpo, suo esserci ancora nella storia, sua incarnazione e ipostasi, sia come Chiesa, sia come cristiani singoli.
E il nostro compito è quello di cooperare perché si realizzi quella Parola che lui stesso è e che ci è stata data da annunciare. Ci è dato di collaborare perché tutto sia cammino di quella Parola, che sola può guarire e sanare, rivivere e salvare. Il nostro compito è di non opporre resistenza alla forza dolce della sua Parola, esserne le voci e le gambe, perché cammini e permei tutti i vuoti esistenziali, i dubbi, le ricerche, le attese e le speranze di questo nostro mondo.
Ascensione, quindi, significa che dobbiamo essere come lui, essere lui in questo tempo e amarlo, amare questo mondo, gli uomini e le donne concrete, come legittimamente sono e che abitano questo tempo e questo mondo: guardarli come li guarda lui – dall’alto, dal cielo, dalla profondità dell’altezza dell’amore – e scendere come lui, abbassarsi kenoticamente, per raggiungere e portare in alto dove ora è lui, dove lui ci attende e ci precede, chiunque possiamo, chiunque incontreremo.
*Il testo è apparso su Kairós. Comunità vocazionale Diocesi di Nola, Anno II, n° 2 – 28 marzo 2024, p. 17.
Francesco Pacia
Leggi il commento al Vangelo di domenica scorsa qui: https://www.legraindeble.it/rimanere/