Prima di entrare insieme in questa meditazione, vi vorrei confessare che meditare il Vangelo e tentare di dirci qualcosa sopra, non è un esercizio neutro, anzi assomiglia più ad una lotta corpo a corpo. Si può iniziare per gioco, per cercare la fama ma poi il Vangelo è come un fuoco, non puoi avvicinarti troppo senza che Lui ti cambi. Il Vangelo infatti non parla di qualcosa altro da noi, parla di noi, delle nostre storie, di ciò che ci abita nel profondo; questo – a volte – può essere consolante, altre volte tremendo. Ed oggi alzo lo sguardo da queste righe con una domanda: “Nelle mani di chi?”.

Tutto nasce dall’incipit di questo brano evangelico che narra di due eventi concatenati: “Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, 13lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao“. Giovanni viene arrestato e Gesù – senza dirci nessuna parola sull’arresto del cugino – parte, si dirige altrove.

Potremo stare diversi minuti ad ipotizzare, immaginare cosa ribolliva nell’animo di Gesù in quel momento, in cui colui che lo aveva per primo riconosciuto, battezzato ed annunciato, un suo parente, viene arrestato; invece ciò che assorbe la mia attenzione è la forma ‘letterale’ del verbo tradotto con ‘viene arrestato‘: consegnare!

Giovanni non viene tanto arrestato, viene consegnato. Consegnare è un verbo abbastanza presente nel Nuovo Testamento, in particolare nelle ultime ore dell’esistenza del Cristo, anche lui – come ci insegna la liturgia eucaristica – si ‘consegnò volontariamente’. Gesù viene consegnato nelle mani di coloro che lo uccideranno, sorte non differente toccherà a suo cugino Giovanni, decapitato perché la sua lingua non smetteva di cantare la verità.

Ma ecco la domanda che esplode, come un ordigno dimenticato nelle pieghe della quotidianità: nelle mani di chi siamo consegnati? Non parlo solo di Giovanni e di Gesù, noi, piccoli e poveri pellegrini nelle notti del mondo, nelle mani di chi siamo?

Mi è capito di sentire esistenze che sono un lungo e verace elenco di tragedie, di lutti, di croci, famiglie sulle quali la ‘pialla’ della vita, con la sua indomita durezza, non ha lesinato a passare più e più volte. Esistenze che rassomigliano più a via crucis, che a storie reali. Non occorre andare lontano, ascoltare ‘storie estreme’, basta guardarsi dentro ed intorno, chi può alzare la mano e dire con un sorriso: “Con me la vita è stata clemente!”. “Per me la croce è leggera”.

E’ tutto davvero come sembra o anche noi uomini e donne crocifissi, siamo sorretti, come in alcuni dipinti del Rinascimento, dalle mani amorose di un Padre?

Paride

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