Nel deserto, un desiderio è una meditazione sul salmo 62 del Salterio.
L’incipit di Sal. 62: riflessioni a margine
Essere nel deserto
Ritorniamo con questo breve articolo a meditare il testo dei salmi: l’ultima riflessione sul Sal. 102 si incentrava sulla certezza dell’eternità di fronte alla dissoluzione della vita terrena. Ora la meditazione riparte da un nuovo testo: il Sal. 62 (per leggere il testo). Peculiare risulta il testo biblico già dall’intestazione dello stesso. Recita, infatti, in una traduzione letterale: “Salmo per Davide nel suo essere nel deserto della Giudea”. Sul piano interpretativo, alla luce del Nuovo Testamento, Davide, come ribadito più volte, è figura di Cristo. Il movimento spirituale della preghiera salmodica si dirige, dunque, verso Gesù: colloca la sua Persona “nel deserto” e plasma il suo Essere (in greco: tò eìnai) nella terra arida della Giudea. Ma, più profondamente cosa significa questo movimento?
Là dove scorre la morte
Per una possibile interpretazione, interroghiamo, su questo punto, il vangelo di Matteo, esattamente Mt. 4, 1: “In quel tempo Gesù fu condotto nel deserto dallo Spirito per essere tentato dal diavolo”. In questo versetto si disvela a pieno l’intestazione salmodica: il Pensiero (Dio) manda il suo Spirito al Verbo (Davide come figura di Gesù) e plasma la sua Essenza, forgiata nell’Amore del Padre, in luogo desertico. Questo spazio si presenta come manifestazione della terra, di un luogo ‘altro’ rispetto all’Eternità trinitaria di provenienza, in cui Dio e lo Spirito si immergono per mezzo del Figlio. Il deserto è il luogo in cui abita e scorre la morte, in cui è necessario che Gesù discenda per la successiva ascesa e per permettere a noi, sua immagine, di ascendere verso il cielo.
Sveglia sin dall’alba
In uno slancio in cui si cela tutto il nostro essere contemplativo, assieme al salmista l’edificio ecclesiale recita: Ὁ θεὸς ὁ θεός μου, πρὸς σὲ ὀρθρίζω· ἐδίψησέν σοι ἡ ψυχή μου (O theòs o theòs mou, pròs se orthrìzo: edìpsesén soi e psuché mou); traducibile come segue: “Dio, Dio mio, per te io veglio sin dall’alba: di te ha avuto sete l’anima mia”. Configurando Davide, dunque Gesù, come destinatario primo della preghiera, l’incipit del salmo recitato dal fedele riconosce il Signore non soltanto come Dio, ma come “Dio suo”. L’anima orante è sveglia sin dall’alba: non dorme perché brucia del desiderio di conoscere e amare il suo Dio. Sa di non essere nulla senza l’amore del suo Creatore.
In terra arida, senz’acqua
Meravigliosa la parte finale del secondo versetto, così traducibile letteralmente: “quante volte la mia carne di te (ha avuto sete) in terra deserta e non battuta e senz’acqua”. Se l’anima desidera Dio nei suoi più profondi recessi e di Lui ha sete perché riconosce con certezza in Lui l’unica fonte della vita, sembra, però, che questo non basti allo spirito in preghiera. Dispersa nel deserto a-vitale di un’attentata esistenza, anche la nostra carne anela a Dio e ricorda tutte le volte, contate nel flusso del divenire, in cui Lo ha desiderato. Svegliato quando ancora la luce del sole non si profila all’orizzonte, dalla Luce del Verbo, tutto il nostro essere nel mondo mortale arde, brucia, si consuma e vivifica la sua essenza nel fuoco dello Spirito, in attesa di nutrirsi a pieno dell’Eternità.
Altre meditazioni sui salmi sono presenti all’interno di una rubrica dal nome: “L’incanto dei salmi“, presente nel nostro blog.