Quale morte, quale vita? In Spari di Mario Luzi
Dello stesso autore, Mario Luzi
Con questo breve articolo vogliamo continuare ad immergerci nella poesia di Mario Luzi. Nella scorsa riflessione lo sguardo aveva indugiato su La notte lava la mente e su come la poesia parlasse al nostro cuore e lo e-vocasse a vivere la realtà d’amore in cui è immerso. Oggi leggiamo insieme una nuova poesia, Spari, contenuta nella raccolta poetica Dal fondo delle campagne.
La prima fucilata rade la fiorita di rosmarini e scope. Il tempo di caccia in questi luoghi alti sul mare lacera il sonno antico, storna il guardiano di rovine, falcia da un anno all'altro il branco. Abituati a una vita meno piena e manchevole di calore e luce, mi dico, tieni a bada l'amarezza. Resisti, reggi il filo ancora teso tra grado e grado della febbre eterna, sorridi, porta a compimento l'opera. Mentre colpo su colpo la pendola degli anni scandisce il tempo d'un addio, mentre il volo ad ali ferme del nibbio si tiene alto, metre il cane punta e l'uccello snidato s'alza a volo e fila contro il tiro d'imbracciata, mentre l'uomo teme, mentre va incontro al suo male e si dibatte tra viltà ed ardire.
Una questione elementare
Scrive il poeta nell’Avvertenza iniziale della raccolta: «il tema insistente, in virtù del quale sono stato indotto a isolarli (i versi), è dei più elementari. Il confronto, il rapporto, la ‘questione’ fra morte e vita sono infatti collaterali con il poetare stesso, tautologici in qualche modo». In questa questione elementare qual è, nell’esistenza umana, la pima fucilata che rade la fiorita? Qual è quel colpo che scandisce e frantuma il cuore? Risponde il poeta all’altezza della terza strofa: è la certezza del tempo d’un addio, la certezza della morte.
Sulla soglia
A lacerare il sonno antico non è soltanto la certezza del giorno in cui il nostro quotidiano vivere avrà termine, quanto l’urgente pendola degli anni che porta la mente e il cuore a immaginarsi al limite della loro esistenza. È proprio lì, nella precarietà dell’attimo, che l’uomo teme, andando incontro al suo male. Ed è proprio sulla soglia che si propone, forte, la scelta di vivere o morire.
Per la febbre eterna
Perché alla parola morte il cuore trasale di paura? Se è il tempo che fa prendere coscienza della morte, il disfarsi di ogni attimo che viviamo e che ci sospinge dentro il presente quotidiano, vuol dire allora che il nostro cuore desidera un altro tempo. E lo desidera, perché lo ha visto e ne ha vissuto le fibre. Quel tempo è definito da Luzi come febbre eterna, l’ansimante e pungente desiderio di vivere per sempre. La poesia ci lascia, allora, un ultimo e forte messaggio: non moriremo quando si chiuderaano i nostri occhi su questo cielo di terra, ma quando nel cuore si spegnerà il desiderio dell’eternità.
Elisabetta