Divagazione su un sintagma agostiniano
Sine syllabis temporum
Sine syllabis temporum. Senza le sillabe dei tempi, senza le sillabe della temporalità. Così Agostino nelle Confessiones (XIII, 15) immagina che gli angeli leggano al di sopra del firmamento pergamenaceo della Scrittura la volontà di Dio nell’eternità. Gli uomini, invece, sono feriti, frammentati, dissolti – in tempora dissilui (Confessiones XI, 39) – dalla lingua del tempo, un continuum di sillabe e frammenti dall’intensità diversa.
Sine syllabis temporum. Mastico queste parole pensando a tutte le cicatrici infinitesimali e macroscopiche che il tempo incide sulla carne. E agli attimi – ma forse il termine è improprio – senza tempo che li curano. Penso alle grandi intuizioni che travalicano il nunc e connettono passato, presente e futuro.
Le sillabe del nostro tempo
Penso al tempo perduto, a quello ritrovato e recuperato, a quello risanato nella memoria grata e riconciliata, nella preghiera, nella narrazione, nella condivisione: al tempo e alla storia personale di cui ci si riappropria – ma come dono – alla luce della grazia.
Penso ai libri e alle storie che fanno vivere temporalità diverse. Al fatto che tutto è lingua del tempo e a chi usa le sillabe del tempo per elaborare e scrivere nuove storie, filosofie, idee, narrazioni, desideri, relazioni.
Penso a chi crea tempi nuovi, a chi inaugura o chiude epoche. All’angoscia che il tempo dà agli umani, perché il tempo è degli umani (Mario Luzi, La Passione).
Penso all’amore, all’amicizia, capaci di interrompere il flusso e la frammentazione del tempo. A quelle sillabe che, messe sulle nostre bocche, ricreano il tempo: a quelle – ce lo ha spiegato bene Hannah Arendt, agostiniana di formazione – che dicono: “Perdono” e riscrivono il passato, a quelle che dicono: “Prometto” e creano futuro. Ai sì e no, che fanno il presente.
Sillabe di tempo. Sillabe, tutto qui. Eppure, semi di libertà, facoltà del definitivo nel frammentato mare della possibilità, facoltà di realizzare e raggiungere, attraverso le scelte, il sine sillabys temporum.
Francesco Pacia