Prendo spunto dai consigli che recentemente il nostro papa Francesco ha lasciato ai responsabili diocesani della celebrazione liturgica, in merito alla preparazione delle omelie (qui trovate il discorso completo). Il succo è questo: è sufficiente focalizzarsi su un’immagine, un pensiero, una frase o anche solo una parola per commentare il vangelo.
Vi sembrerà strana o insolita, almeno sul principio, ma l’immagine che vorrei sottoporvi circa l’episodio del vangelo di oggi è quella delle nozze.
So cosa state pensando: «Ma Bene….mi sa che ti sei confusa. Oggi non si legge il miracolo di Cana, ma il discorso delle Beatitudini». Tranquilli, tranquilli. Ho tutto sotto controllo. Teniamo a mente le nozze intanto e leggiamoci queste beatitudini.
La folla attorno a Gesù doveva essere rapita dalla sua presenza. Gli occhi di tutti dovevano seguire pedissequamente ogni suo gesto, anche fosse il più casuale o banale, come sistemarsi la tonaca mossa dal vento o spostarsi i capelli dal viso. Ascoltando l’anafora liberante dei beati, immagino di essere lì, anch’io, in mezzo alla gente, una delle tante che guarda quest’Uomo-Dio e aspetta di incontrare il suo sguardo per sapersi di nuovo viva e amata. E accade che la folla si senta vista non tanto dagli occhi del Maestro, quanto dalle Parole che pronuncia e che comunicano un messaggio chiaro:
«Io ti conosco, so chi sei e oggi, adesso, qui, ti chiamo alla gioia del Paradiso».
Non so se avete mai prestato attenzione alla formula del rito di Comunione. Dice così: «Ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie i peccati del mondo. Beati gli invitati alla cena dell’Agnello».
Io ho cominciato a farci caso dal giorno in cui un frate mi fece notare che quelle parole vengono dall’Apocalisse, che per la precisione recita: «Beati gli invitati al banchetto di nozze dell’Agnello» (Ap 19, 9).
E allora le beatitudini, che presentano un pentolone di situazioni, in cui ci riconosceremo o ci siamo già riconosciuti, stavolta mi hanno fortemente richiamato quegli «invitati» alla cena di nozze. Sapete, ogni volta che partecipiamo alla celebrazione liturgica è come se fossimo invitati a uno sposalizio, che ha una caratteristica particolare: non siamo semplici spettatori – testimoni, damigelle, parenti, amici – ma siamo sempre protagonisti insostituibili.
E forse sperimentiamo la beatitudine più alta proprio quando ci accorgiamo di essere amati così. Il quasi-Paradiso è sapere che in qualsiasi condizione siamo – povertà, sofferenza, mitezza, fame, sete, misericordia, purezza, pace, persecuzione – l’invito a nozze è sempre valido. In effetti è Gesù il primo a cercarci per instaurare una relazione d’amore sponsale con tutta la nostra persona, spirito, anima e corpo.
Il bello, poi, è che non Gli importa quel che hai combinato in passato. Gli importa che ci sei e, siccome ci sei, ti meriti una gioia perfetta.
E se esiste una gioia perfetta, capace di durare nel tempo, credo sia proprio quella che Dio ci dona con la Sua presenza in noi e in mezzo a noi.
Qui trovate il commento al vangelo di domenica scorsa.
Benedetta