Riprendiamo il cammino interrotto qui ed approfondiamo il primo capitolo della Regola benedettina relativamente alla costituzione organica di un Cenobio e alle specie di monaci.
Prima di affrontare a grandi linee la Regola di San Benedetto, dobbiamo fare un piccolo e veloce excursus per capire com’è nata l’esperienza monastica fino a giungere alla delineazione della concezione di monaco secondo il pensiero di San Benedetto.
La vita monastica, non solo benedettina
La vita monastica non è uno stile di vita unicamente cristiano. La sua origine è ben più antica e originariamente non coinvolge il cristianesimo. Infatti, lo si ritrova come fenomeno anche fuori da questo contesto, in altri pensieri filosofici o anche in altre religioni. Troviamo infatti elementi “monastici” nei filosofi classici: un esempio che colpisce più di tutti è quello di Pitagora, che viene presentato come un “riformatore religioso”. Egli voleva che i suoi seguaci si predisponessero ad una contemplazione mistica e che la sua comunità formasse una scuola di obbedienza e di virtù.
Le radici della vita monastica non cristiana, la si riscontra anche nell’Ebraismo: in senso a quest’esperienza di fede religiosa si riscontra la presenza di una comunità monastica presso il Mar Rosso, vicino alle grotte di Qumran. In questo luogo, lo stile di vita della comunità era caratterizzato dalla solitudine, dalla rinuncia dei beni, meditazione della Sacra Scrittura, preghiera e contemplazione. Caratteristiche che si avvicinano molto alla vita monastica dei monaci cristiani che si ritirarono in Egitto nel III sec. d.C., dove conducevano una vita molto povera ed austera.
Sant’Antonio, abate, primo “monaco”
Il primo a condurre in assoluto vita monastica nel mondo cristiano e che tutti ricordano è S. Antonio abate, considerato il padre dei monaci, iniziatore della vita monastica. Questi monaci si rifacevano all’ideale descritto negli Atti degli Apostoli della prima comunità di Gerusalemme. Agli albori del monachesimo si richiamavano infatti di continuo, la condivisione dei beni, il vivere insieme, il predicare. Nel corso della storia, poi, questo stile di vita si evolve, e, nel IV sec. d.C., terminata l’era della persecuzione anticristiana, la figura del monaco sostituì in qualche modo quella del martire. I monaci, cioè, si ritenevano come i successori dei martiri perché lasciavano la vita del mondo per ritirarsi e dedicare la propria vita per Cristo, imitandone lo stile descritto nei vangeli.
Il termine “monaco” deriva dalla parola greca “monos” che vuol dire “unico, solo”. Con il trascorrere del tempo e l’evoluzione del pensiero il termine assume il significato più particolare e tecnico di “persona non sposata”, “celibe” e soprattutto di “imitatore di Cristo”. Nel mondo occidentale invece il termine assumerà, nell’accezione latina “monachus”, il significato di “condizione solitaria, separata dalla gente”.
Giungiamo così a San Benedetto che nella sua regola usa il termine monachus o frater fin dal primo capitolo della Regola benedettina. Infatti con il Santo Patriarca il termine “monaco” si amplia ed assume anche altri significati come “saggio”, “il soldato di Cristo”, il nuovo “martire”, praticamente un uomo nuovo, un uomo che abbraccia questa vita è per lui qualcuno che cerca di riprodurre/imitare l’immagine di Gesù morto e risorto.
La classificazione benedettina dei monaci
Dopo questa doverosa introduzione circa il significato del termine monaco e sulla sua storia, possiamo notare ora come San Benedetto classifica i monaci. Nel primo capitolo della sua regola, il Patriarca benedettino dà una suddivisione di quattro specie di monaci. Inserisce la specie dei veri monaci ma anche le specie di quelli che secondo lui sono dei “falsi” monaci (rispetto alla concezione di monaco che il santo ha in testa). Possiamo notare allora che il legislatore benedettino elenca quattro tipi di monaci: cenobiti, anacoreti o eremiti, sarabaiti (quelli che vivono senza regola e senza comunità) e i girovaghi (quelli che sono sempre in giro e non stabiliscono una fissa stabilità in un monastero).
San Benedetto alla fine del capitolo primo specifica che la regola che ha redatto è stata fatta per “la fortissima specie dei cenobiti” (RB 1,13) i quali “vivono in monastero militando sotto una regola e un abate” (RB 1,2).
La Regola e l’Abate
Ecco allora quali sono i principi cardine per un monaco cenobita: la REGOLA e l’ABATE. Queste le due colonne per i monaci che vivono assieme in un monastero (cenobio). La regola è la legge scritta, tramandata oralmente e poi con l’esperienza e con preghiera e meditazione messa per iscritto. Infine l’abate che è la regola vivente cioè colui che con la sua autorità interpreta la legge scritta.
Per le altre tre specie San Benedetto non si sofferma tanto visto che la regola, come abbiamo detto prima è stata scritta per i monaci che vivono assieme e che costituiscono una propria società organica del cenobio.
Quaesitor Dei