Nel mondo ma non del mondo: la musica di ForJay come messaggio – in codice – di fede e speranza.
Ed egli disse: «A voi è dato di conoscere i misteri del regno di Dio; ma agli altri se ne parla in parabole, affinché vedendo non vedano, e udendo non comprendano». (Lc 8, 10)
Sono sempre stata affascinata da questa Parola, perché racconta senza mezzi termini come Gesù parlava alla gente. Adattando il linguaggio all’interlocutore, così che tutti potessero farsi delle domande e scegliere di seguirlo per trovare le risposte. Per questo, quando ho conosciuto ForJay, nome d’arte di Simone Cesaro, sono rimasta molto colpita.
“Questi testi sono una carezza per il cuore”. Questo è stato il mio primo approccio con questo artista, ancora prima di ascoltare una singola nota di una sua canzone. Una recensione da 5 stelle, che mi ha spinto ad andare a scoprire ciò che aveva da raccontare. La scoperta? Una luce, che non può essere “nascosta sotto il moggio”.
Così l’ho incontrato nel suo “piccolo bunker”, dove ci ha raccontato un po’ di lui e della sua musica.
Partiamo da una domanda facile: chi è ForJay?
«ForJay è un nome in codice, che ha le sue radici in un progetto nato tempo fa con un altro nome, quello di For Jesus, che aveva come scopo quello di portare in Italia un po’ della tradizione musicale pop-gospel internazionale. Il progetto prese piede ed iniziammo a suonare nelle piazze e nelle strade, dove però mi accorsi di una cosa: molte persone, soprattutto giovani, rimanevano affascinate, ma non si coinvolgevano. Così ho iniziato a cambiare punto di vista.
Ho iniziato a chiedermi che cosa avrebbe fatto il Maestro, ed ho capito che il modo più diretto ed efficace per parlare di Lui fosse adottare il linguaggio che Lui stesso usava con le folle: le parabole. Così il nome è cambiato, e con lui sono cambiate le canzoni: da cover tradotte e riadattate, a brani inediti. Ma la “J” rimane, come un simbolo che mi ricorda quali sono il punto di partenza e quello d’arrivo.»
Parlando di canzoni, entrando qui mi hai fatto notare una scritta sul muro, “Out is Through”, che è il titolo di una canzone di Alanis Morissette. Cosa significa per te?
«Diciamo che è stato un tasto di accensione nella mia vita che ha segnato il passaggio dall’uomo vecchio all’uomo nuovo. Infatti il senso di quella canzone è che “l’unico modo per uscire da una situazione, è passandoci attraverso”. Questo è un po’ quello che è successo a me. Infatti, se mi chiedessi dove io abbia trovato Dio, non saprei darti delle coordinate o una risposta precise. Sicuramente sono sempre stato una persona che non si accontenta, e questo mi ha portato a fare molte esperienze nella mia vita, belle ma anche terribili. Anche quando avevo tutto quello che il mondo potesse offrirmi, non mi bastava, e mi dicevo: “Ma è davvero tutto qui?”.
Così è iniziata una notte buia, e nel punto più basso della mia vita ho sentito l’esigenza di chiedere aiuto. Dentro di me dicevo: “Qualsiasi cosa ci sia, fatti sentire, perché per me la vita comincia a non avere più senso”. E pian piano si è mostrato, con segnali chiari, attraverso le persone più inaspettate, ed utilizzando lo strumento che, sapeva, meglio potesse risollevarmi: la musica.
Diciamo che la Grazia di sentirmi risollevato mi ha dato la sensibilità di cercare lo sguardo degli altri, e spesso in questi occhi che incontro scorgo questo grido d’aiuto, di chi si sente affondare e non sa come risalire, e sento un vero affetto verso queste persone. Perché io sono stato fortunato a trovare la forza di rialzarmi e la mano che mi ha aiutato a farlo, ma non per tutti è così.»
Lo sguardo e gli occhi sono temi ricorrenti nelle tue canzoni, ad esempio in “Anime come noi” e “Occhi tra le stelle”. Perché e come trovi l’ispirazione per scrivere i tuoi testi?
«Ci sono delle scene che arrivano all’improvviso.
Per “Anime come noi” tutto è iniziato quando ho incrociato lo sguardo di una ragazza incinta ad una fermata dell’autobus. Era una ragazza un po’ trasandata, di quelle che passano inosservate agli occhi della gente, ma sicuramente non agli occhi di Dio, davanti al quale gli ultimi sono davvero i primi.
Mi hanno sempre colpito le persone così, estremamente semplici, che non hanno chissà quali pretese, apparenze o titoli di studio, con le quali non puoi fare discorsi particolarmente profondi. Tuttavia, dai loro occhi si vede che hanno un amore, una leggerezza e una bellezza che vanno al di là di ogni cosa. Mi ricordano che Dio ha scelto i più piccoli per fare le cose più grandi. Inoltre gli occhi sono sempre stati una bussola nella mia vita. Puoi raccontare ciò che vuoi, ma se qualcuno ti guardasse negli occhi capirebbe cosa vuoi dire veramente.
Credo che sia questo uno dei motivi per i quali sono un tema così ricorrente nelle mie canzoni. Il mondo di oggi ci spinge a nascondere profondamente chi siamo, perché ci si aspetta che siamo forti, che non piangiamo, che nascondiamo le nostre emozioni. Questo mi fa paura, soprattutto perché è un’equazione del vivere che viene insegnata anche ai bambini. Ma per quanto possiamo sforzarci di risolverla così, dagli occhi qualcosa trapela sempre e comunque: sono un ponte tra il dentro e il fuori.
Proprio per questo credo sia importante guardare dentro anche ai nostri, di occhi, alla ricerca della luce che guida i nostri passi; d’altronde siamo chiamati ad essere una luce anche per gli altri, perciò è bene che la nostra rimanga sempre accesa.»
Serena Lambertucci