Immagini da Kiev
Arrivano tante immagini da Kiev e sento in me la stessa impotenza di quando, ragazzino, il brutale mondo della violenza e della guerra e il suo conseguente orrore senza filtri entrò, attraverso lo schermo, nella mia vita. Era l’11 settembre 2001 e da allora, per una legge delle prime impressioni, l’impotenza così violentemente avvertita è stata sempre la prima reazione, quando altre immagini hanno bucato gli schermi e hanno mostrato gli orrori di Gaza, le guerriglie libiche o le città distrutte della Siria…
Anche oggi sento quella stessa impotenza, rabbia e frustrazione, lo stesso senso di smarrimento. E forse anche maggiori. Perché c’è il covid ed è inverno – e le guerre non si fanno in inverno, come insegnano gli antichi. Dovremmo essere arrivati a una cultura matura della pace, del dialogo e della diplomazia e certi discorsi politici dovrebbero essere smascherati facilmente nella loro falsità da un minimo di memoria storica.
L’impotenza si fa poesia
Non ricordo su quale giornale, ma il giorno dopo l’11 settembre 2001, qualcuno pubblicò una poesia di Wystan H. Auden, 1 Settembre 1939. Il titolo non necessita spiegazioni. La scelta editoriale aveva colto il senso di smarrimento del poeta davanti allo scoppio della guerra e lo aveva usato per dare parola all’impotenza difronte al nuovo orrore. Ne fui folgorato, pur non capendoci molto: aiutava a dare voce a quello che sentivo anch’io. Da allora, sebbene retorica – lo stesso Auden lo riconobbe –, la rileggo a mo’ di meditazione ogni qual volta l’irrazionalità della guerra ritorna. A volte ripetersi l’ovvio aiuta.
E l’impotenza si fa poetica – poesia in greco ha a che fare con il fare – e dice quello che possiamo fare noi. Non ci spettano solo le analisi storico-politiche del caso – meraviglioso come Auden le condensi in pochi versi allusivi! Nemmeno ci spetta solo una tucididea archeologia del male un po’ banale, con tanto di scontato additamento del dio dispotico, l’Hitler di turno. La retorica del “coloro a cui male è fatto, male faranno in cambio” – ognuno vi legga quello che può in riferimento a questa guerra – è troppo riduttiva. Tuttavia, appare consolante.
Siedo in una delle bettole della Cinquantaduesima strada incerto e spaventato vedendo scadere le astute speranze 5 d’un decennio basso e disonesto: onde di rabbia e di paura circolano per le luminose e oscurate contrade della terra, ossessionando le nostre vite private; 10 l’indicibile odore della morte offende la notte di settembre.
Mentre si sentono onde d’ira e paura ossessionare le nostre vite private e l’indicibile odore della morte […] offende la notte di Kiev e dell’umanità e le nostre città (ancora?) neutrali vivono la loro folle vita quotidiana, a noi che siamo lontani tocca altro: l’ascesi dell’amore e la fiamma della speranza comune.
Nelle fibre dell’orrore
Poiché ogni uomo /nutre nelle fibre l’errore /di bramare quel che non può avere e d’avere per sé solo ogni amore, ci spetta l’ascesa che non riuscì a Caino. Andare oltre sé e deporre ogni cupidigia, che biblicamente è il contrario della benedizione. Il cristianesimo e l’umanesimo avrebbero dovuto allenarci all’ascesi della co-esistenza pacifica e della pro-esistenza dell’amore. L’altissimo progresso nelle conoscenze scientifiche – ahimè – non sfocia in un affinamento sapienziale e morale. Anzi, si sentono persino tentativi di legittimazione della guerra in nome di alti valori civili e umani e si tira in ballo pure il nome di Dio. Almeno Auden aveva la decenza di non nominarlo…
Mentre senza difesa il nostro mondo / giace sotto la notte attonito, ci spetta, infine, fare fronte comune, ritrovarci nel dialogo e accendere ironici punti di luce – ironici perché capaci di smascherare i linguaggi subdoli e menzogneri del potere, della violenza e dell’ideologia – e, sforzandoci di essere giusti – e la giustizia è un’altra ascesi! – alimentare la fiamma della speranza e della resistenza, a partire dal bene possibile che ognuno può nel suo hic et nunc e dall’esplicita denuncia di ciò che non è bene.
Oh, che io possa, composto come loro d’Eros e di polvere, assediato dalla medesima negazione e disperazione, mostrare una fiamma affermativa.
Francesco Pacia
Per rileggere lo scorso articolo della rubrica, clicca qui.