Il Tempo escatologico dell’Avvento tra Rito romano ambrosiano vuole essere un approfondimento liturgico sul tempo forte che precede e prepara al Natale. Altri articoli a cura del prof. Lanni sono presenti nella nostra rubrica: ABC Liturgico.
L’avvento: un tempo che da senso all’attesa.
Ma quando, Signore, tutto questo? Quando“il leone pascolerà insieme al bue e un bimbo potrà mettere la sua mano nel covo di serpenti velenosi senza danno?” [1].Quando cesserà ogni guerra? Quando finirà il terrore? Quando non ci sarà più iniquità, prepotenza, cattiveria?
Il tempo di Avvento sembra potersi sintetizzare in una domanda, il quando, circa la realizzazione di un mondo nuovo, promesso da Dio stesso. Tutti gli uomini portano nel cuore questo desiderio di un mondo nuovo e il tempo di preparazione al Natale acquista significato laddove è vissuto nell’attesa buona di chi non resta inerme, fermo, nell’attesa che qualcosa accada. L’Avvento è significativo quando l’attesa si fa produttiva: è il tempo del seminatore che semina speranza.
In quest’ottica, l’Avvento non è solo quel periodo che ci fa ripercorrere il memoriale dell’attesa della venuta del Cristo nel mondo, ma anche un tempo escatologico che proietta l’uomo verso la seconda venuta del Figlio dell’Uomo nella storia: la venuta del Figlio di Dio che giudicherà, nell’ultimo giorni, i vivi e i morti. In virtù di questa consapevolezza, possiamo sottolineare sei virtù che devono caratterizzare il tempo dell’attesa. La prima è quella specifica di chi vive con fervore l’attesa gioiosa e proficua della venuta dell’Emmanuele: la vigilanza. Una vigilanza accogliente è nutrita da una seconda virtù: la fede. Quest’ultima aita a vivere l’attesa al modo di Maria, la donna che ha realizzato l’attesa della venuta del Dio incarnato per la salvezza del mondo, nel suo «fiat». La speranza, virtù di chi da un senso all’attendere confidando nell’amore misericordioso del Dio fatto uomo. La conversione: che è l’atteggiamento dell’impegno sollecito ed urgente che percorre il tempo che ci separa dall’incontro con Cristo, la preghiera: affettuosa invocazione all’Atteso, affinché venga senza tardare [2]. Ma soprattutto, la gioia: la virtù di chi sa che la sua attesa si concretizza in una Persona, uno che si apre al suo completamento nel Regno dei Cieli. L’Avvento è attesa di gioia, quella dell’uomo che è consapevole di non vivere solo il memoriale di un’attesa passata, ma il tempo attendente di chi è certo dell’incontro con l’Amore incarnato che accoglierà, alla fine dei tempi, il mondo nel suo giudizio di misericordia.
La ritualizzazione dell’attesa
La sostanza della vita del buon cristiano può sintetizzarsi in una espressione: uomo che attende il Signore. La vita dell’uomo è un Avvento continuo, seppure l’uomo moderno abbia perduto il senso di questo suo essere, di questo suo vivere. La liturgia dell’Avvento ci ricorda questo: la ritualizzazione dell’attesa gioiosa della venuta dell’Emmanuele è una liturgia che parla della vita di ogni uomo. L’Avvento è la chiave per comprendere la celebrazione delle feste della manifestazione del Signore nella carne, il suo Natale: i fatti che hanno immediatamente preceduto la nascita di Gesù Cristo, la sua nascita a Betlemme, la manifestazione ai Magi, il battesimo nel Giordano fino alle nozze di Cana; ovvero tutti i testi proposti dalla Liturgia medesima nell’estensione del tempo natalizio. Compresi nella loro intelligenza spirituale, i testi liturgici dell’Avvento esprimono non l’attesa di una nascita già avvenuta nella storia una volta per tutte, quanto piuttosto l’attesa della definitiva venuta di Cristo nella gloria. Il dramma sociale dell’Avvento vissuto in maniera sbagliata dal punto di vista liturgico, ingenera un’incomprensione gravissima: intendere la Liturgia come un memoriale vuoto e fine a se stesso. Comprendendo l’Avvento come tempo in cui si ricorda l’attesa del Signore, inevitabilmente siamo portati a non comprendere l’intero senso della Liturgia cristiana: se questa è sempre memoriale della morte e risurrezione di Cristo finché egli venga, come è possibile che siamo chiamati a rivivere l’attesa di un Signore che deve ancora arrivare? E dunque, comprendiamo che la nascita non si attende, ma si commemora; è la commemoratio nativitatis Domini nostri Jesu Christi, mentre ciò che si attende è la παρουσία [3].
È interessante allora, notare anche che la dilagante distorsione della Liturgia, nonché della Liturgia di Avvento, è indicativa di una progressiva perdita del senso escatologico da un lato, della capacità di sperare dall’altro. Eppure l’attesa del Κύριος [4] è una peculiarità solo cristiana, un segno identitario forte, che dovrebbe essere il segno più eloquente dell’essenza cristiana: «Siamo uomini dell’Avvento, che hanno nel cuore l’urgenza della venuta di Cristo, e con gli occhi che spiano, cercando negli orizzonti della propria vita il suo volto albeggiante?» [5].
Interroghiamo i Lezionari.
Nel tempo in cui incomincia a determinarsi l’esigenza di un periodo di preparazione alle feste della manifestazione del Signore, la Chiesa aveva già fissato le modalità di preparazione alle feste pasquali. Nel IV secolo il tempo pasquale e quaresimale avevano già assunto una configurazione vicinissima a quella attuale. L’origine del tempo di Avvento è più tardiva, infatti viene individuata tra il IV e il VI secolo. La prima celebrazione del Natale a Roma è del 336, ed è proprio verso la fine del IV secolo che si riscontra in Gallia e in Spagna un periodo di preparazione alla festa del Natale. Per quanto la prima festa di Natale sia stata celebrata a Roma, qui si verifica un tempo di preparazione solo a partire dal VI secolo. Senz’altro non desta meraviglia il fatto che l’Avvento nasca con una configurazione simile alla Quaresima, infatti la celebrazione del Natale fin dalle origini venne concepita come la celebrazione della risurrezione di Cristo nel giorno in cui si fa memoria della sua nascita. Nel 380 il concilio di Saragozza impose la partecipazione continua dei fedeli agli incontri comunitari compresi tra il 17 dicembre e il 6 gennaio. In seguito saranno dedicate sei settimane di preparazione alle celebrazioni natalizie. In questo periodo, come in Quaresima, alcuni giorni vengono caratterizzati dal digiuno. Tale periodo fu chiamato “Quaresima di S. Martino”, poiché il digiuno iniziava l’11 novembre. Di ciò è testimone S. Gregorio di Tours, intorno al VI secolo. La teologia dell’Avvento ruota attorno a due prospettive principali. Da una parte con il termine “adventus” si è inteso indicare l’anniversario della prima venuta del Signore; d’altra parte designa la seconda venuta alla fine dei tempi. Il Tempo di Avvento ha quindi una doppia caratteristica: è tempo di preparazione alla solennità del Natale, in cui si ricorda la prima venuta del Figlio di Dio fra gli uomini, e contemporaneamente è il tempo in cui, attraverso tale ricordo, lo spirito viene guidato all’attesa della seconda venuta del Cristo alla fine dei tempi. Nel Rito romano, Il Tempo di Avvento comincia dai primi Vespri della domenica che capita il 30 novembre o è la più vicina a questa data, e termina prima dei primi Vespri di Natale. E’ caratterizzato da un duplice itinerario, domenicale e feriale, scandito dalla proclamazione della parola di Dio. Le letture del Vangelo hanno nelle singole domeniche una loro caratteristica propria: si riferiscono alla venuta del Signore alla fine dei tempi (I domenica), a Giovanni Battista (Il e III domenica); agli antefatti immediati della nascita del Signore (IV domenica). Le letture dell’Antico Testamento sono profezie sul Messia e sul tempo messianico, tratte soprattutto dal libro di Isaia. Le letture dell’Apostolo contengono esortazioni e annunzi, in armonia con le caratteristiche di questo tempo. Per quanto riguarda, invece le ferie di Avvento si ha una duplice serie di letture: una dall’inizio dell’Avvento fino al 16 dicembre, l’altra dal 17 al 24. Nella prima parte dell’Avvento si legge il libro di Isaia, secondo l’ordine del libro stesso, non esclusi i testi di maggior rilievo, che ricorrono anche in domenica. La scelta dei Vangeli di questi giorni è stata fatta in riferimento alla prima lettura. Dal giovedì della seconda settimana cominciano le letture del Vangelo su Giovanni Battista; la prima lettura è invece o continuazione del libro di Isaia, o un altro testo, scelto in riferimento al Vangelo. Nell’ultima settimana prima del Natale, si leggono brani del Vangelo di Matteo (cap. 1) e di Luca (cap. 1) che propongono il racconto degli eventi che precedettero immediatamente la nascita del Signore. Per la prima lettura sono stati scelti, in riferimento al Vangelo, testi vari dell’Antico Testamento, tra cui alcune profezie messianiche di notevole importanza.
Nel Rito ambrosiano, invece l’Avvento dura sei settimane. Innanzitutto è opportuno sottolineare che l’Avvento ambrosiano, nel nuovo Lezionario [6], riprende in maniera organica e precisa la struttura testimoniata nei documenti più antichi della Liturgia milanese. Troviamo dunque la seguente successione di temi: a) le prima domenica ha un contenuto prettamente escatologico: invita cioè a rivivere la dimensione dell’attesa del ritorno di Cristo alla fine dei tempi nella sua venuta gloriosa e definitiva; b) la seconda e la terza domenica introducono la figura di Giovanni Battista, il precursore, che prepara la via alla venuta del Signore: una preparazione che recupera i temi della conversione (seconda domenica) e dell’adempimento delle antiche profezie (terza domenica); c) la quarta domenica propone la pagina evangelica dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, tipica della tradizione ambrosiana, da leggere e interpretare non dal punto di vista storico (quello che avvenne nella cosiddetta “Domenica delle Palme”), ma attraverso il filtro simbolico dell’Avvento, cioè come invito all’incontro salvifico con Cristo che fa il suo ingresso nella storia umana; d) la quinta domenica vede di nuovo in primo piano la figura di Giovanni Battista, il precursore: il Vangelo è tratto però non dai sinottici (come nella seconda e nella terza domenica), ma sempre e solo da Giovanni e mette in luce in modo particolare il rapporto del Battista con il Messia che sta per manifestarsi; ormai infatti i giorni dell’Avvento stanno raggiungendo la loro piena maturazione. Quanto alle ferie, il 16 dicembre, riprendendo una tradizione ambrosiana che lo stesso San Carlo volle confermare, è stata reintrodotta la cosiddetta “commemorazione dell’annuncio a Giuseppe”, per mettere in giusta evidenza il ruolo che questo uomo giusto e santo ebbe, con la sua obbedienza, nel mistero dell’Incarnazione del Verbo. Dal 17 al 24 dicembre decorrono le cosiddette “ferie prenatalizie”, che nel Rito ambrosiano hanno conservato l’antico nome di feriae de exceptato; il nuovo Lezionario, facendo propria una spiegazione non condivisa da tutti gli studiosi, ma indubbiamente suggestiva ed evocativa, interpreta questa espressione nel senso del verbo “accogliere” [7]: in effetti sono gli ultimi giorni di Avvento, nei quali la Chiesa si prepara più intensamente a incontrare il Signore Gesù atteso, “accolto” e “accettato”; da notare che questi giorni pre-natalizi, insieme alla commemorazione di San Giuseppe, vengono a comporre una vera e propria “novena” liturgica di preparazione al Natale. Inoltre, la VI domenica è la primitiva festa mariana della Liturgia ambrosiana e commemora il mistero dell’Incarnazione del Signore e della divina maternità della Vergine: è la mèta ultima del cammino di Avvento, prima che si passi al tempo natalizio vero e proprio. Ed in fine, il Rito ambrosiano prevede che anche i giorni feriali sono caratterizzati da una “mensa” più abbondante della Parola di Dio. Ogni giorno, infatti, prevede tre letture: le prime due tratte dall’Antico Testamento (attinte dalle pagine dei profeti che preannunziano la venuta del Messia), seguite dal Vangelo, tratto da Matteo, l’evangelista che più degli altri è attento a mettere in evidenza la realizzazione nella vicenda di Gesù di Nazaret delle antiche profezie.
Prof. Cristian Lanni
[1] Is 11,6-9.
[2] cfr. Ap. 22,20.
[3] Parusia.
[4] Signore.
[5] J. B. Metz, Avvento di Dio, Brescia 1966, 22.
[6] Si intende l’edizione ultima del Lezionario Ambrosiano approvato nel 2008 dal Cardinale Arcivescovo Dionigi Tettamanzi, Caporito.
[7] Exceptato da exceptare = accogliere, accettare.