Il desiderio del martirio
Il presente articolo può sembrare incoerente con il tema proposto per quest’anno circa la sezione “la voce dei Padri”, cioè, quello concernente lo Spirito Santo, ma, a pochi giorni dalla Pentecoste, risalta un’importante testimonianza di vita vissuta nello Spirito Santo e grazie allo Spirito Santo, ossia quella di Ignazio, vescovo di Antiochia di Siria. Fu imprigionato durante la persecuzione di Traiano e, dopo essere stato condotto a Roma, fu condannato alle fiere subendo il martirio (anno 110 d.C. ca). egli così scrisse in una delle sue lettere durante il viaggio verso Roma:
«Scrivo a tutte le chiese e annunzio a tutti che io muoio volentieri per Dio, se voi non me lo impedite. Vi prego di non avere per me una benevolenza inopportuna. Lasciate che io sia pasto delle belve, per mezzo delle quali mi è possibile raggiungere Dio. Sono il frumento di Dio e macinato dai denti delle fiere perché diventino la mia tomba e nulla lascino del mio corpo e io morto non pesi su nessuno. Allora sarò veramente discepolo di Gesù Cristo, quando il mondo non vedrà il mio corpo. Pregate il Signore per me perché con quei mezzi sia vittima per Dio. Non vi comando come Pietro o Paolo. Essi erano apostoli, io un condannato; essi erano liberi, io a tuttora uno schiavo. Ma se soffro, sarò affrancato in Gesù Cristo e risorgerò libero in lui.
Sant’Ignazio cita san Paolo
Ora incatenato imparo a non desiderare nulla. Dalla Siria sino a Roma combatto con le fiere, per terra e per mare, di notte e di giorno, legato a dieci leopardi, il manipolo di soldati. Essi, beneficati, diventano peggiori. Per le loro malvagità mi alleno di più. “Ma non per questo sono giustificato” (1 Cor 7,22). Potessi gioire delle bestie per me preparate, e mi auguro che mi si avventino subito. Le alletterò perché presto mi divorino e non succeda, come per alcuni, che intimorite, non li toccarono. Perdonatemi, io so quello che mi conviene».
«Ora incomincio a essere un discepolo. Nulla di visibile e di invisibile abbia invidia, perché io raggiungo Gesù Cristo. Il fuoco, la croce, le belve, le lacerazioni, gli strappi, le slogature delle ossa, la mutilazione delle membra, il pestaggio di tutto il corpo, i malvagi tormenti del diavolo vengano su di me, perché io voglio trovare Gesù Cristo. Nulla mi gioverebbero le lusinghe del mondo e tutti i regni di questo mondo. È bello per me morire in Gesù Cristo più che regnare sino ai confini della terra. Cerco quello che è morto per noi; voglio quello che è risorto per noi. Il mio rinascere è vicino. Perdonatemi, fratelli. Non impedite ch’io viva, non vogliate che io muoia. Non abbandonate al mondo né seducete con la materia chi vuole essere in Dio. Lasciate che io riceva la luce pura; là giunto sarò uomo. Lasciate che io sia imitatore della passione del mio Dio. Se qualcuno l’ha in sé, comprenda quanto desidero e mi compatisca, conoscendo ciò che mi opprime.
Il principe di questo mondo vuole rovinare e distruggere il mio proposito verso Dio. Nessuno di voi, qui presenti, lo assecondi. Siate piuttosto per me, cioè di Dio. Non parlate di Gesù Cristo, mentre desiderate il mondo. Non ci sia in voi gelosia. Anche se vicino a voi vi supplico, non ubbiditemi. Obbedite a quanto vi scrivo. Vivendo, vi scrivo che bramo di morire. La mia passione umana è stata crocifissa e non è in me un fuoco materiale. Un’acqua viva mi parla dentro e mi dice: qui al Padre. Non mi attirano il nutrimento della corruzione e i piaceri di questa vita. Voglio il pane di Dio che è la carne di Gesù Cristo, della stirpe di Davide, e come bevanda voglio il suo sangue che è l’amore incorruttibile. Non voglio più vivere secondo gli uomini. Questo sarà, se voi lo volete. Vogliatelo, perché anche voi potreste essere voluti da Lui. Ve lo chiedo con poche parole. Credetemi, Gesù Cristo, vi farà vedere che io parlo sinceramente. Egli è la bocca infallibile, con la quale il Padre ha veramente parlato. Chiedete per me che io lo raggiunga» (Rm, 1, 5-8).
L’insegnamento per noi
Da queste parole traspare la fede di Ignazio e la sua perfetta obbedienza alla volontà divina senza alcun timore. Ciò è frutto dello Spirito Santo: ha agito nel suo discepolo trovando in esso una libertà autentica che ha aderito alla Sua voce. E viene da chiedersi se oggi fossimo in grado di vivere una tale esperienza piuttosto che “spiritualizzare” la fede rendendola romantica e sdolcinata.
Il martirio di sant’Ignazio di Antiochia possa essere uno stimolo ulteriore sia per pensare la fede, sia soprattutto per viverla coerentemente, ancorati al Vangelo e docili all’azione dello Spirito, perché i prodigi della Pentecoste non sono mai finiti e continuano tutt’ora.
Davide