Il Signore dette a me, frate Francesco, di incominciare a fare penitenza così: quando ero nei peccati mi sembrava cosa troppo amara vedere i lebbrosi, e il Signore stesso mi condusse tra loro e usai con essi misericordia. E allontanandomi da loro, ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza di animo e di corpo. E in seguito, stetti un poco e uscii dal secolo.
Testamento di San Francesco, 1 – 3.
La cosa più interessante dell’etimologia della parola “lebbra” è che la sua radice genera anche la parola lepidottero, cioè farfalla. Guardare una farfalla e guardare un lebbroso non è lo stesso.
La prima è una creatura che evoca tutta la bellezza della primavera, l’originalità e il genio esuberante del Provvido Disegnatore, che si diverte a farne la gioia dei nostri occhi.
Il lebbroso non è riconoscibile quasi neanche come creatura, è rovinato dal male,destinato a essere un non-guardato.
Ma sono squame sia quelle che coprono e deturpano il lebbroso sia quelle che rivestono e adornano la
farfalla. Tutto sta negli occhi di chi guarda.
Guardare…
Guardare è un gesto dello spirito che abita il cuore, e ha a che fare con il peccato perché innanzitutto ha a che fare con l’amore. In molte occasioni, infatti, ho dovuto resistere all’impulso di catturarle, le farfalle.
Qualche giorno fa mi sono accorto di una falena intrappolata al di qua di una finestra, forse era rimasta
incastrata in una ragnatela. Stava lì, ferma a fissare la luce in cui non avrebbe più potuto librarsi, con gli ocelli spenti incollati al vetro. Mi ha spaccato il cuore assistere a questo atto tragico del microcosmo: l’ho registrata come un’immagine del peccato, di una vita bella in-castrata, e quindi resa infeconda, dal possesso, o – come avrebbe detto Francesco – dalla volontà di appropriazione (del ragno).
La Misericordia
Quando Francesco era nei peccati, gli sembrava amaro vedere i lebbrosi. Solo quando fu condotto tra di loro si accorse di quella etimologia, e “fece misericordia”, come dice il testo latino delle fonti. Fare misericordia è l’eredità del Vangelo nelle sue estreme conseguenze. È sempre il fare che nel Vangelo è la prova dell’amore. Fare l’amore è un’espressione ben più nobile e alta di quella che giunge alle nostre delicate orecchie.
«Non chi dice Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio», dice Gesù
(Mt 7, 21).
Mi ha sempre catturato questa caponata agrodolce di parole in questo incipit del Testamento olografo di Francesco d’Assisi.
Il suo peccato era uno sguardo incapace di etimologia, di verità (etimo significa vero), e questo è amaro. La misericordia, invece, è lo sguardo che vuol vederci chiaro, fino in fondo, e alla fine vede la farfalla. E questo è dolce. Ed eccomi alla chiave di volta, anzi alla pietra d’angolo.
Benedetto XVI, in un articolo apparso su Repubblica nel 2004, aveva indicato proprio nel volto di Gesù, sfigurato dal dolore nella figura del servo nel profeta Isaia, il più bello tra i figli dell’uomo. «Misericordia e verità si incontreranno», ma dove? Lì dove tutto ebbe inizio anche per Francesco: nel volto dei lebbrosi.
Il santo lebbroso
È stata anche l’esperienza di Daniele da Samarate, cappuccino sacerdote, che contrasse la lebbra nell’amministrare i sacramenti nelle capanne della foresta del Maranhao. Isolato nel lebbrosario Tucunduba, diviene il «cuore pensante della baracca», proprio lì quel cuore batteva e lì veniva battuto dall’insulto di chi non riconosceva la sua bellezza. Solo Maria, una sua scolaretta della colonia agricola, gli rimane prossima, sollevando i suoi moncherini nel gesto di levare il calice e spezzare il pane dell’Eucaristia, perché ormai le sue mani erano marcite.
Con i lebbrosi pregavano ogni mattina con queste parole:
«Non mi manca niente, perché Dio è il mio fornitore. Proprio perché sono figlio di Dio, sono unito alla Divina Presenza di mio Padre».
Amore non è sentirsi le farfalle nello stomaco, ma averle negli occhi.
Ps. Altri approfondimenti su Francesco, qui https://www.legraindeble.it/francesco-il-re-delle-feste-o-della-festa/.