Il 9 maggio 2023, Solennità dell’Ascensione del Signore, il Pontefice Francesco ha indetto il Giubileo ordinario dell’Anno del Signore MMXXV, con la Bolla Spes non confundit, stabilendone tempi di inizio, prosecuzione e termine.

L’evento giubilare, nella cadenza ordinaria dei venticinque anni reca in sé una storia plurisecolare, che vorremmo cercare di scorrere con speciale riferimento alla storia e ai riti che nei secoli di vita della Chiesa si sono sviluppati e sempre più perfezionati.

Significato nascita del termine “Giubileo”

Con Giubileo ordinario si intende quell’Anno santo durante il quale la Chiesa Cattolica universale, per la potestà piena diretta ed immediata del Romano Pontefice concede la remissione dei peccati, la riconciliazione, la conversione e la penitenza sacramentale; è l’Anno nel quale sono elargite ai fedeli che si recano a Roma, a condizione di espletare determinate pratiche religiose, le indulgenze plenarie [1]. Chiarito quanto la Chiesa intenda con “Giubileo”, giova ricordare alcune questioni legate alla terminologia. Può sembrare strano sottolineare che inizialmente, ovvero nel 1300 quando Bonifacio VIII indisse il primo Giubileo, a quest’ultimo non fu dato nome alcuno. Infatti, nella Bolla Antiquorum Habet [2] il Pontefice usa l’espressione “indulgenza”, legandola al “Centesimo secolare”. Senza dunque una nomenclatura specifica per la ricorrenza. Il rifermento era semplicisticamente all’Annus centesimus, d’altro canto l’occasione iniziale secolare non poteva direttamente riferire questo nome alla medesima occasione del giubileo veterotestamentario che comunque – come Bonifacio VIII previde nella Bolla di indizione – seguiva un ritmo cinquantennale. Nonostante ciò lo stesso Pontefice nel testo che chiudeva il Giubileo del 1300 proprio a questo termine faceva riferimento nel dire declarat (…) Summus Pontifex quod annus iste Iubilaeus trecentesimus hodie sit finitus [3]. Va comunque rilevato che il termine Giubileo, in quell’epoca aveva già ampliato il suo spettro semantico, come annota un’analisi dei testi di Isidoro, Vescovo di Siviglia, che sottolinea come il termine su menzionato, al di là della decorrenza cinquantennale, potesse richiamare anche solo simbolicamente l’accezione veterotestamentaria; non solo, il termine poteva significare anche un secolo – come inizialmente era nelle intenzioni di Bonifacio VIII – o un anniversario. Comunque è rilevante che già prima del 1300 talune concessioni indulgenziali furono indicate con il termine Iubilaeum [4]. Il primo ad utilizzare il termine nella forma aggettivale fu Clemente VI nella Bolla Unigenitus Dei Filius, con la quale indiceva il Giubileo del 1350, successivamente riconosciamo il termine solo cento anni dopo, con Nicolò V nella Bolla Immensa et innumerabilia. Al di fuori del richiamo diretto veterotestamentario, sicuramente il termine si afferma in maniera definitiva, ed in forma aggettivale, con le Bolle di indizione dell’Anno santo del 1475. È nel 1500 che, invece, si afferma il termine sostantivato per come oggi lo conosciamo. Incomincia ad apparire al genitivo, accompagnato sempre dal termine annus, ma comunque aprendo la strada all’utilizzo del sostantivo. Definitivamente nel 1575 Gregorio XIII nella Bolla Dominus ac Redemptor noster utilizza il termine Sanctum Iubilaeum in riferimento non già solamente a quello che indiceva, ma anche a tutti quelli dei suoi predecessori.

La cadenza temporale del Giubileo

Attualmente, la cadenza temporale tra un Giubileo ordinario e l’altro è di venticinque anni. Due sottolineature, la prima: è riferita esclusivamente alle celebrazioni giubilari ordinarie, infatti è nella facoltà del Romano Pontefice indire i cosiddetti Giubilei straordinari, magari legati a tematiche o ricorrenze particolari, che esulano dalla cadenza ordinaria venticinquennale. La seconda: questa scansione è tarda di almeno due secoli rispetto all’indizione del primo anno giubilare, nel 1300. A ben vedere, in effetti, la cadenza attuale è quella con meno fondamento, seppure trova ampia giustificazione nella Bolla di Paolo II (1475), il quale stabilisce che pro veritate temporum e maxime pro salute animarum, la cadenza fosse ridotta a tempi più brevi, ovvero i venticinque anni ad oggi ancora in vigore [5]. Quella della cadenza è la prima questione che si pose: Bonifacio VIII stabilì l’elargizione indulgenziale – nella prima Bolla – per quell’anno, ovvero il 1300, e per tutto gli anni secolari – et in quolibet anno centesimo secuturo – dunque, di fatto ogni cento anni. Tale disposizione, rimarrà in memoria perpetua, al punto che anche successivamente alla riduzione dell’intervallo temporale, ogni giubileo centennale riporterà la menzione di quella Bolla primordiale, per così dire, che sanciva la cadenza dell’anno centesimo; si vedano per esempio le Bolle giubilari del 1500, del 1600 o del 1700 [6]. Tuttavia questa cadenza così significativa viene presto ridotta, per una sorta di clamore popolare che spinge il Pontefice Clemente VI ad intervenire e – da Avignone – citare nel 1350 proprio il “clamore del nostro popolo romano che supplica umilmente” come ragione dell’anticipo di mezzo secolo della celebrazione di una nuova elargizione indulgenziale [7]. In vero, tuttavia, una più attenta analisi della Bolla porta a sottolineare una ratio legis ben più contingente e concreta: il Pontefice aveva ben valutato che una così estesa cadenza avrebbe permesso a pochissimi di usufruire di tale grazia, propter vitae hominum brevitatem. Successivamente, nella valutazione di Urbano VI – che indisse il Giubileo nel 1390 – vi fu una valutazione che pure ricalcava la medesima ratio legis di Clemente VI, ma con una ulteriore considerazione: la brevità di vita dell’uomo doveva in qualche modo essere ricondotta al tempo di vita in terra del Figlio di Dio e dato che la Tradizione da sempre ha considerato questo tempo pari a trentatré anni, così pure l’intervallo temporale che doveva esserci tra una celebrazione e l’altra. Comunque, va sottolineato che lo stesso Urbano VI ritarda rispetto alla cadenza perché indice il Giubileo nel 1390 e non nel 1383, tuttavia nella Bolla Salvator noster Unigenitus stabilisce chiaramente che la cadenza sarebbe dovuta essere, d’allora in poi, di trentatré anni, in correlazione con il Natale del Signore. Questo, de facto, non si verificò comunque, ma ne abbiamo significativi indizi negli Anni straordinari del 1933 e 1983, Anni santi cosiddetti della redenzione seppure in più stretto riferimento ai fatti pasquali che a quelli natalizi [8]. Ad ogni buona ragione, la correlazione fra Giubileo e redenzione è ovviamente allacciabile più direttamente ai concetti di passione, morte e resurrezione, così come la dottrina indulgenziale è immediatamente connessa alla passione redentrice del Salvatore, il cui sacrificio è gradito al Padre al punto da riscattare l’umanità perduta nel peccato. Successivamente, come già detto, Paolo II nel 1450 ridurrà ulteriormente il lasso temporale di intervallo a venticinque anni.

La durata

In merito alla durata del Giubileo, non c’è dubbio che si tratti di un anno, ciò che si potrebbe discutere, allora, non potrà che essere il computo dell’anno medesimo. Sin dal 1300 l’Anno giubilare ha inizio con il Natale dell’anno precedente a quello santo, computato ad annos Domini secundum ritum Romanae Ecclesiae. Dunque, come risulta evidente dalla Bolla specificatamente dal 25 dicembre 1299 al 25 dicembre 1300. Fra le altre cose, il documento del Natale del 1300 ribadiva che l’elargizione indulgenziale non si sarebbe estesa all’anno dell’incarnazione 1300 – che nel computo invece andava dal 25 marzo 1300 al 25 marzo 1301 – del rito della Chiesa. A questa regola generale conosciamo delle eccezioni, due sono quelle citate del 1933 e del 1983, il primo con inizio il 2 aprile del 1933 e termine al 2 di aprile dell’anno successivo; il secondo invece, con inizio nella festa dell’annunciazione del 1983 – il 25 aprile – e termine nelle Pasqua dell’anno successivo, il 22 aprile 1984. Più recentemente ricordiamo l’Anno santo della Misericordia, indetto dal Pontefice Francesco, con inizio il 29 novembre 2015 e termine il 20 novembre 2016, straordinario come quelli della redenzione.

L’Indulgenza

Discussa, contrastata nel corso dei secoli, certamente il fulcro del Giubileo è l’elargizione dell’Indulgenza concessa dal Pontefice a chi espleta le opere pie di visita alle condizioni stabilite dalla Chiesa, delle basiliche romane maggiori. Parliamo di indulgenza plenaria, la cui dottrina – nella Chiesa – era ben strutturata già precedentemente all’indizione della prima elargizione del 1300.

Bonifacio VIII, nel 1300 scriveva “non solum plenam et largionem, immo plenissimam omnium suorum concedemus et  concedimus veniam peccatorum” [9]; e Francesco al n. 23 della Bolla Spes non confundit afferma “L’indulgenza, infatti, permette di scoprire quanto sia illimitata la misericordia di Dio. Non è un caso che nell’antichità il termine misericordia fosse interscambiabile con quello di indulgenza, proprio perché esso intende esprimere la pienezza del perdono di Dio che non conosce confini”. Ora, in queste due espressioni che coprono simbolicamente l’arco temporale di tutti i secoli del Giubileo, si potrebbero leggere talune ambiguità, certamente, se si collega in modo esplicito o meno esplicito la remissione dei peccati ad effetto diretto dell’indulgenza. Così non è: la soluzione potremmo ritrovala proprio in quel n. 23 della Spes non confundit. Infatti, la cancellazione del peccato è effetto della confessione sacramentale – presupposto richiesto per l’acquisizione dell’indulgenza giubilare “vere poenitentes et confessi” – mentre, in quanto espressione della sconfinata misericordia del Padre che esprime la pienezza fruttifica del suo perdono, l’indulgenza cancella le pene temporali connesse al peccato e che sopravvivono alla cancellazione dello stesso da parte del Sacramento. Dunque, alla potestà apostolica pontificia è in potere di rimettere le pene, tramite l’elargizione indulgenziale plenaria legata all’Anno giubilare a condizione che il fedele abbia già acceduto (o acceda nell’immediatezza) alla cancellazione dei peccati che solo l’assoluzione sacramentale fa scaturire.

Pietro attinge questa potestà tanto suprema quanto sublime dal Tesoro della Chiesa, ovvero i meriti della passione, morte e resurrezione del Signore Gesù Cristo, della Vergine Maria e dei Santi. Dunque, il Romano Pontefice con atto di giurisdizione piena diretta ed immediata, con l’indulgenza plenaria, elargisce la cancellazione della pena temporale per peccati già cancellati per quanto riguarda la colpa, che il fedele debitamente disposto e a determinate condizioni acquista per intervento della Chiesa la quale, come ministro della redenzione, dispensa e applica autoritativamente il tesoro delle soddisfazioni di Gesù Cristo, della Madre di Dio e dei Santi. Il Pontefice – come Suprema Autorità della Chiesa – applica la sua potestà piena diretta ed immediata concedendo l’indulgenza a tutti i fedeli in vita, avendo giurisdizione sui viventi, mentre applica l’indulgenza ai defunti (sottratti ormai alla sua giurisdizione), pregando il Signore Gesù Cristo di accogliere l’offerta dei meriti soddisfattori Suoi propri, della Vergine e dei Santi, affinché le anime purganti abbiano la remissione delle pene. La condizione assolutamente imprescindibile, comunque, resta quella del distacco dal peccato incessantemente ripetuta sin dalla Bolla del 1300 con la formula vere poenitentes et confessi.

Una considerazione ecumenica

Indubbiamente, la potestà petrina riguarda tutti i fedeli in piena comunione con la Chiesa cattolica, tuttavia l’affermazione di Romanità intrinseca al Giubileo, non può non richiamare la mente all’amara scissione che la Cristianità ha subito, alla divisione di tutti coloro che credono in Cristo. Non è un caso che in ogni Bolla di indizione dell’Anno santo, a partire dal XVII secolo – successivo appunto al secolo della Riforma – non manchi un accenno all’auspicato ritorno dei fratelli separati [16]; quasi a dire che la gioia di un Giubileo sia in qualche modo turbata dal fatto che non tutti i credenti in Cristo possano godere della grazia della elargizione concessa in quel periodo dalla Chiesa Cattolica e la stessa pratica del pellegrinaggio: il cammino verso Roma, la sede di Pietro, intende (forse) significare in qualche modo questo moto di persuasione che possa spingere ad un ritorno al seno della Chiesa Cattolica. È bello attribuire, allora, al Giubileo – fra i suoi significati – anche quello di una speranza di riconciliazione per così dire allargata, che già auspicò Pio XI nel 1925, ovvero che se non tutti, almeno molti potessero fare ritorno nell’abbraccio della Chiesa Cattolica così da godere a pieno della grazia elargita in quello e nei successivi Anni santi. Ma ancora, come il Pontefice Francesco esorta al n. 9 della Spes non confundit, che il Giubileo sia anche occasione perché la Comunità Cristiana tutta sia ancora unita, ed unita sia segno di speranza inclusiva e non ideologica, seconda a nessuno. Ben cinque numeri – dal 10 al 15 – della Bolla sono rivolti dal Pontefice non già solo ai Cattolici, ma a tutta la Comunità Cristiana, richiamando al cuore della nostra fede (n.20), al di là di ogni frattura: Gesù Cristo morto e risorto [10].

[1] cfr. C. Lanni, Giubileo e Bolla d’indizione: lettura giuridica dei documenti pontifici che regolano gli Anni santi, in Vox Canonica, 13 maggio 2024.

[2] cfr. c.1, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[3] Ibidem.

[4] cfr. C. Lanni, Giubileo e Bolla d’indizione.

[5] cfr. G.B. Montini, I Giubilei nelle bolle pontificie di indizione, in Quaderni di Diritto Ecclesiale, XI (1998), 125.

[6] cfr. Ivi, 123.

[7] cfr. c.2, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[8] Il concetto è più ampiamente spiegato in G.B. Montini, I Giubilei, 123-125.

[9] c.1, de poenitentiis et remissionibus, V, 9, Extravagantes communi.

[10] cfr. C. Lanni, Giubileo e Bolla d’indizione.

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