Il Custode della vita è una meditazione sul salmo 120 del Salterio.
Umiltà e superbia in Ps. 120
Testo del salmo al link https://www.bibbiaedu.it/CEI2008/at/Sal/121/
Ode dell’ascesa
Il salmo inizia con un’intestazione particolare: Ὠιδὴ τῶν ἀναβαθμῶν (oidé ton anabathmon), traducibile con l’espressione “Ode dei gradini”. Il salmo fa parte dei cosiddetti “canti delle ascensioni”, odi recitate dai pellegrini in viaggio verso il monte Sion per i giorni di festa. La parola ἀναβαθμός nasconde e rivela il senso interiormente profondo del canto: la radice -βαθ- esprime il significato della “profondità”, mentre la particella ἀνα, descrive un movimento dal basso verso l’alto, il movimento dell’ascesa. Come, però, il significato letterale del salmo può condurre la nostra anima a penetrare nei meandri della sua interiorità? La “profondità” che l’intestazione ha in sé è immagine e sostanza della nostra “profondità” interiore.
Umiltà: il riconoscimento della profondità
Diventa necessario comprendere in che senso interpretare la profondità predicata nell’incipit del canto. Uno dei termini che molto spesso ricorre nel Nuovo Testamento è ταπεινός, il cui significato è propriamente “umile”. In Mt. 11, 29 Gesù, incitando i discepoli a prendere su di sé “il suo giogo”, definisce se stesso come πραΰς […] καὶ ταπεινὸς τῇ καρδίᾳ (pràus kai tapeinòs té kardìa), letteralmente “mite e umile di cuore”. L’etimologia del termine ταπεινός rimane controversa, ma sembra plasmarsi sul nome di un indefinito luogo scavato nella roccia e molto profondo. Chi è, dunque, il ταπεινός: è colui che scava profondamente e visceralmente nell’interiorità della propria anima e riconosce la profondità del luogo in cui dimora la sua vita. Chi è umile rivela a se stesso la disarmante fragilità della vita umana e la profonda necessità del cuore di raccogliere la Luce che illumina le ombre della cavità e di accogliere la Forza per ‘ascendere’.
Dalla cavità al monte
La meta che il pellegrino deve raggiungere è il monte Sion. Di nuovo, la lettera del testo soccorre la coscienza nel comprendere il significato allegorico del canto. Il monte Sion è la dimora di Dio, è la vetta a cui il cuore dell’umile anela in uno slancio dell’anima che investe, al contempo, il corpo intero. Soltanto a seguito del riconoscimento della bassezza a cui siamo pervenuti è possibile vedere la splendida Luce che illumina il volto dell’uomo dall’ombroso pertugio della cavità. E nello slancio, l’anima grida aiuto e il Signore risponde con precisione infallibile. È scritto, infatti, nel testo greco ἡ βοήθειά μου παρὰ κυρίου (è boethéia mou parà kurìu), propriamente “il mio aiuto dal Signore”.
A custodia della vita
Ma se si guarda bene alla parola greca che esprime l’“aiuto” (βοήθειά), si scopre che la sua forma riproduce il passivo del verbo βοάω (boào), “gridare”. L’aiuto è, quindi, “ciò che è gridato” ed è παρὰ κυρίου (parà kurìu), letteralmente, “presso il Signore”. Il grido della necessità è, quindi, già insito nell’Onniscienza del nostro Dio. Egli, Tutto-Amore, sa dove risiede il nostro tutto e il nostro amore. Dio è ὁ φυλάσσων σε (o fulàsson se) “colui che ti custodisce” e μὴ δῷς εἰς σάλον τὸν πόδα σου (mé dòs eis sàlon ton poda soù), propriamente: “non consegnerà il tuo piede all’inciampo”. Chi inciampa è colui che ha la notte davanti a sé e non vede nitidamente i gradini verso la vetta del monte. Chi inciampa è colui che non riconosce la profondità della cavità in cui è immerso, è il ‘superbo’ che si ritiene da più del suo Signore, che pensa di essere più grande di quella Vita che dà e custodisce la vita della sua anima.
Altre meditazioni sui salmi sono presenti all’interno di una rubrica dal nome: “L’incanto dei salmi“, presente nel nostro blog.