Eccoci per la seconda tappa in compagnia di Giuditta. La scorsa volta avevamo visto le premesse drammatiche in cui si apre il suo libro; oggi conosceremo più da vicino questa donna piena di fiducia in Dio.
Quando arrivano le prove…
Siamo al capitolo 7 del libro di Giuditta. Oloferne vuol farla pagare agli Israeliti e decide di assediare la città di Betulia per vendicarsi e per sottometterla al re-dio Nabucodònosor. Servendosi del consiglio crudele dei suoi consiglieri, occupa quindi con l’esercito le sorgenti d’acqua che riforniscono Betulia, così da costringere gli abitanti, che si erano chiusi dentro le mura, alla resa per non morire di sete.
Macabra la situazione che si delinea a Betulia. Il popolo, che prima aveva invocato fiducioso il Signore, si dispera, sfinito: a cadere per primi sono i bambini, poi le donne e i giovani. Tutti cominciano a pensare che Dio li abbia voluti punire e li abbia oramai abbandonati. Vogliono arrendersi e si professano pronti a barattare la loro libertà e fede, pur di avere salva la vita.
La disperazione è un’emozione che deve subito metterci in allerta. Forse pensiamo che essa sia frutto di quella cosa terribile che mi è successa, di quell’evento traumatico che ho vissuto… Ma, in verità, ci disperiamo quando di fronte a un imprevisto spiacevole che ci accade, pensiamo di dover gestire tutto da soli e ci dimentichiamo di avere un Padre che ci ama e che provvede a noi in qualunque situazione veniamo a trovarci.
Uno dei capi della città, Ozia, percepisce la gravità della situazione e impaurito decide di assecondare in parte il popolo, mettendo alla prova Dio: «Coraggio, fratelli, resistiamo ancora cinque giorni e in questo tempo il Signore, nostro Dio, rivolgerà di nuovo la sua misericordia su di noi. […] Ma se proprio passeranno questi giorni e non ci verrà alcun aiuto, farò come avete detto voi» (Gdt 7, 30-31).
Quante volte, anche noi, ci lasciamo vincere dagli eventi tragici della vita, ci arrendiamo al male e lo assecondiamo anziché combatterlo instancabilmente con il bene; cediamo allo sconforto e alla sfiducia, e sfidiamo il Signore. Mentre invece dovremmo solo ricordarci che Gesù ha già vinto per noi, una volta per tutte, la bestia che più ci fa paura: la morte. E non solo l’ha vinta, ma l’ha anche resa il mezzo attraverso cui donarci il Paradiso per sempre.
Giuditta entra in scena
In mezzo al buio, una luce, una stella, seppur piccola, vi è sempre. La luce di Betulia è proprio Giuditta che ci viene presentata al capitolo 8, nel bel mezzo della crisi di fede del popolo israelita.
È una donna bellissima, ricca, ma anche disgraziata poiché vedova da più di tre anni e senza figli: anche lei dunque è stata apparentemente abbandonata da Dio. Eppure il suo ritratto non ci delinea una donna triste, amareggiata, tutt’altro. Giuditta sembra aver accolto le sofferenze della vita con incredibile fiducia in Dio. Continua ad indossare le vesti della vedovanza e digiuna tutti i giorni, fatta eccezione per le festività religiose. Nessuno «poteva dire una parola maligna a suo riguardo, perché aveva grande timore di Dio» (Gdt 8, 8).
La grandezza di questa donna è stata nel non aver sciupato quello che Dio le aveva donato da vivere. Ella sceglie di non sciupare la sua bellezza, né la ricchezza che il marito le aveva lasciato in eredità. Sceglie invece di custodire questi doni nell’attesa di metterli a servizio di Dio al momento opportuno, e così sarà. Non sciupa le sue giornate subendole passivamente e divenendo acida e frustrata; ma sceglie di viverle tutte come un dono, sapendo di avere Dio al suo fianco. Sceglie, in sostanza, di non riempire la sua solitudine di ‘io’, ma di Dio, invitandoLo quotidianamente ad abitare quella solitudine. Potremmo dire, per usare le parole del Maestro, che anche Giuditta in fondo «ha scelto la parte migliore» (Lc 10, 42), accogliendo con un ‘sì’ la sua vedovanza e permettendo a Dio di fare la Sua parte, cioè di manifestarSi proprio in quella fragilità.
E saranno queste sante scelte a preparare l’anima di Giuditta alla missione che Dio le avrebbe affidato, ma di questo parleremo la prossima volta.
Per riflettere…
Per prepararci a vivere la Passione e Resurrezione del Nostro Amatissimo Gesù, proviamo a pensare ai nostri punti deboli, ai nostri limiti, alle nostre fragilità, alle cose per cui siamo soliti lamentarci, alle nostre fatiche e ferite più profonde.
Poi nella preghiera, nel silenzio e nel digiuno di questa settimana affidiamo tutte le nostre croci a Gesù, e chiediamoGli che – se non può togliercele – venga però ad abitarle e illuminarle con la Sua presenza. Che Dio ci insegni l’arte di benedire la nostra storia, comprese le ferite, con le quali siamo chiamati anche noi a risorgere, proprio come Gesù.
Buona Settimana Santa!