Oggi su quella strada si muovono mezzi militari.
Cadono bombe.
Muoiono persone.
In linea d’aria sono poco più di 70 chilometri.
È la distanza che divide Gerusalemme da Gaza.
Gli Atti degli apostoli collocano su questo itinerario, oggi impraticabile a causa degli scontri tra Israele e Hamas, l’episodio più noto che riguarda Filippo: «Un angelo del Signore gli disse: “Alzati e va’ verso il mezzogiorno, sulla strada che scende da Gerusalemme a Gaza; essa è deserta» (At 8,26).
È la storia di un incontro che cambia la vita a un uomo potente, ma umile al tempo stesso: il ministro del tesoro della Regina di Etiopia che, dopo essersi recato in pellegrinaggio a Gerusalemme, torna al suo paese pieno di fervore e di domande al tempo stesso. Filippo viene inviato a lui per dargli delle risposte. Non stiamo parlando dell’apostolo, ma di uno dei sette (nell’elenco lo troviamo nominato per secondo, subito dopo Stefano) scelti affinché si occupassero dei credenti di lingua greca. Ma, proprio come Stefano, anziché limitarsi al servizio delle mense, Filippo si concentra sulla predicazione, tanto da meritarsi il titolo di evangelista o, meglio, di evangelizzatore.
Le informazioni che abbiamo di lui sono quasi esclusivamente quelle contenute negli Atti degli apostoli. Possiamo supporre che lo stesso Luca, autore di questo libro e dell’omonimo Vangelo, lo abbia conosciuto di persona. Al capitolo 21 (vv. 8-9), infatti, la narrazione si svolge alla seconda persona plurale. Paolo sta navigando verso Gerusalemme e Luca fa parte della sua équipe. L’ultimo porto, prima di proseguire il viaggio via terra, è quello di Cesarea: «entrati nella casa di Filippo l’evangelista, che era uno dei Sette, restammo presso di lui. Egli aveva quattro figlie nubili, che avevano il dono della profezia».
Sappiamo quindi che Filippo aveva famiglia e almeno quattro figlie, attive nella comunità di cui lui era un punto di riferimento. Una vita piena, dunque, la sua. E anche avventurosa.
Dopo la morte di Stefano scoppia una persecuzione contro la chiesa di Gerusalemme, soprattutto contro i giudeo-cristiani di lingua greca. E Filippo va in Samaria, probabilmente nella capitale che allora si chiamava Sebaste Augusta. Lì si fa subito notare per la sua intensa attività pastorale: «predicava loro il Cristo. E le folle, unanimi, prestavano attenzione alle parole di Filippo, sentendolo parlare e vedendo i segni che egli compiva. Infatti da molti indemoniati uscivano spiriti impuri, emettendo alte grida, e molti paralitici e storpi furono guariti. E vi fu grande gioia in quella città» (At 8,5-8).
L’annotazione circa la gioia che segue la predicazione di Filippo la ritroviamo anche correlata al battesimo del ministro della regina di Etiopia: «Quando risalirono dall’acqua, lo Spirito del Signore rapì Filippo e l’eunuco non lo vide più; e, pieno di gioia, proseguiva la sua strada» (At 8,39). Abbiamo a che fare, quindi, con un uomo che non solo vive in profondità la buona notizia del Vangelo, ma riesce a trasmetterla, soprattutto perché si lascia guidare dallo Spirito che letteralmente “gli parla”: «Disse allora lo Spirito a Filippo: “Va’ avanti e accostati a quel carro”».
In Samaria la predicazione di Filippo affascina anche un guru locale, una sorta di santone che si faceva chiamare nientepopodimeno che “La grande potenza”. Parliamo di quello che passerà alla storia come Simon Mago e che, ricevuto il battesimo, «stava sempre attaccato a Filippo. Rimaneva stupito nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano». Ciò che maggiormente gli interessa, infatti, pare essere il successo conseguente ai miracoli e ai segni. Simone arriverà perfino a tentare di corrompere Pietro per ottenere il potere di imporre le mani. E ne riceverà un netto rifiuto. Ovviamente.
Ma che ci faceva Pietro in Samaria? Gli Atti riferiscono che «gli apostoli, a Gerusalemme, seppero che la Samaria aveva accolto la parola di Dio e inviarono a loro Pietro e Giovanni». Insomma, Filippo dissoda il terreno, ma poi lascia che siano gli apostoli a gettare il seme. Riconosce la loro autorevolezza. Sta al suo posto, ma non in modo passivo. La sua è un’obbedienza (allo Spirito, al Vangelo, ai dodici) dinamica.
Tornando ancora sulla via che scende da Gerusalemme a Gaza, leggiamo: «all’invito dell’angelo, Filippo si alzò e si mise in cammino». È curioso notare che Luca, nel suo Vangelo, usa quasi le stesse parole per la madre di Gesù: «In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta…» (Lc 1,39).
Anche lei risponde alla chiamata di un angelo; anche lei si mette in cammino; anche lei è in costante ascolto dello Spirito.
È la logica dell’abbandono totale a Dio.
Qualche domanda per riflettere
– Quanto sono connesso con lo Spirito Santo?
– Quale è il mio ruolo nella comunità cristiana?
– Sono pronto a mettermi in cammino?
Patrizio Righero
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