La comunione dei santi
Ricòrdati, Signore, manifèstati nel giorno della nostra afflizione e dà a me coraggio, o re degli dèi e dominatore di ogni potere. Metti nella mia bocca una parola ben misurata di fronte al leone e volgi il suo cuore all’odio contro colui che ci combatte, per lo sterminio suo e di coloro che sono d’accordo con lui. Quanto a noi, salvaci con la tua mano e vieni in mio aiuto, perché sono sola e non ho altri che te, Signore!
Est 4, 17r-17t
Prima di pensare e pregare per se stessa, la regina ricorda il suo popolo e implora la protezione divina per tutti i disperati e gli oppressi.
Mi viene spontaneo chiedermi: che posto occupano gli altri nella nostra preghiera?
Spesso siamo talmente egocentrici e autocentrati da preoccuparci solo del nostro misero orticello: già è tanto se ci ricordiamo della nostra famiglia, perché il più delle volte nella preghiera non facciamo altro che rigirare vorticosamente attorno a un unico pronome: io.
Allora mi viene in soccorso un consiglio di Papa Francesco. Nella sua semplicità, suggeriva di usare le dita della mano per ricordarci di pregare.
Si parte dal pollice, il dito più vicino a noi che ci invita a pregare per i nostri cari, per le persone che incontriamo tutti i giorni. Poi viene l’indice, il dito del “comando” che ci esorta a ricordare chi svolge il ruolo di guide in campo educativo, sanitario, religioso (insegnanti, medici, vescovi). Il medio, con la sua altezza, ci fa invece pensare ai governanti, agli imprenditori e ai dirigenti, le cui scelte ed azioni sono decisive per le nazioni. L’anulare, il dito più debole, ci ricorda di pregare per gli emarginati, i malati, le persone sole. Inoltre possiamo pregare anche per le coppie di sposi, dato che proprio sull’anulare si pone la fede. Infine il mignolo, il dito più piccolo e lontano, ci ricorda il nostro misero io. Possiamo pregare per noi stessi, ma dopo aver pregato per tutti gli altri, perché pregare significa amare e solo l’amore può aiutarci a capire di che cosa abbiamo veramente bisogno e chi siamo agli occhi di Dio.
Corone deposte
Tu hai conoscenza di tutto e sai che io odio la gloria degli empi e detesto il letto dei non circoncisi e di qualunque straniero. Tu sai che mi trovo nella necessità e che detesto l’insegna della mia alta carica, che cinge il mio capo nei giorni in cui devo comparire in pubblico; la detesto come un panno immondo e non la porto nei giorni in cui mi tengo appartata. La tua serva non ha mangiato alla tavola di Aman; non ha onorato il banchetto del re né ha bevuto il vino delle libagioni. La tua serva, da quando ha cambiato condizione fino ad oggi, non ha gioito, se non in te, Signore, Dio di Abramo.
Est 4, 17u-17z
O Dio, che su tutti eserciti la forza, ascolta la voce dei disperati, liberaci dalla mano dei malvagi e libera me dalla mia angoscia!
Ester è una donna umile. Non si crede chissà chi, solo per il fatto di essere regina e moglie di Artaserse. Nei riguardi di se stessa, chiede a Dio di essere liberata dall’angoscia, di non essere lasciata da sola, di suggerirle ciò che deve dire. Col suo rifiutare di indossare la corona, mi ha ricordato un’altra regina vissuta nel Duecento, Elisabetta d’Ungheria.
“Una volta, entrando in chiesa nella festa dell’Assunzione, si tolse la corona, la depose dinanzi alla croce e rimase prostrata al suolo con il viso coperto. Quando la suocera la rimproverò per quel gesto, ella rispose: “Come posso io, creatura miserabile, continuare ad indossare una corona di dignità terrena, quando vedo il mio Re Gesù Cristo coronato di spine?”.
Elisabetta e la nostra cara Ester ci invitano a deporre quelle corone che ci illudono di essere forti, potenti, grandi, autosufficienti. Ci insegnano che in verità proprio nessuno può bastare a se stesso. Abbiamo tutti un viscerale bisogno di Cristo Re che dalla Croce ci guardi con verità e misericordia, riempiendo la nostra vita di senso.
Per leggere la scorsa puntata clicca qui: Ester e la memoria.
Per approfondire la figura di Santa Elisabetta clicca qui: Santa Elisabetta d’Ungheria.
Benedetta