La scorsa volta abbiamo parlato della tenerezza di Dio che per primo prega e pensa ai nostri bisogni. In questa puntata proseguiamo con la lettura, esaminando lo stato d’animo e la reazione della regina Ester al dramma che incombe sugli ebrei.
«Anche la regina Ester cercò rifugio presso il Signore, presa da un’angoscia mortale. Si tolse le vesti di lusso e indossò gli abiti di miseria e di lutto; invece dei superbi profumi si riempì la testa di ceneri e di immondizie. Umiliò duramente il suo corpo e, con i capelli sconvolti, coprì ogni sua parte che prima soleva ornare a festa. Poi supplicò il Signore e disse:
Est 4, 17k-17l, (testo greco)
“Mio Signore, nostro re, tu sei l’unico! Vieni in aiuto a me che sono sola e non ho altro soccorso all’infuori di te, perché un grande pericolo mi sovrasta».
Ester ha scelto: non volterà le spalle al suo popolo. Si cambia d’abito, cosparge di cenere capo e capelli, in segno di penitenza, perché ogni scelta che si rispetti porta sempre con sé un cambiamento di vita – anche esteriore – una forte presa di coscienza e l’assunzione di responsabilità.
Ester ha detto il suo sì: ha promesso che proverà a salvare la vita del suo popolo, anche a costo di rimetterci la propria. Sa che non solo è la cosa giusta da fare, ma che anche Dio la chiama a questa missione. Eppure la regina ha bene in mente i propri limiti. Conosce precisamente l’elenco delle proprie fragilità e paure, e sa di aver bisogno dell’aiuto di Dio. È curioso ma Dio non ci chiama mai a partire da quello che sappiamo fare. Dio ci chiama a partire da quello che siamo qui e ora e che, insieme a Lui, possiamo fare.
Allora ben venga la fatica, ben vengano le lacrime, ben vengano le difficoltà e i casini, quando c’è di mezzo l’Amore. Quando si tratta di scegliere la carità, tutto fa brodo. Perché, non sono forse le fatiche a farci capire quanto teniamo agli altri? In fondo – parliamoci chiaro – l’amore è scomodo. E diventa vero proprio quando accettiamo tutte le scomodità che ci mette davanti.
Pensiamo al parto. Avviene in una posizione scomoda e dolorosa, eppure piena d’amore; perché, se sei disposta a cambiare e soffrire così tanto, per dare alla luce un figlio, per lasciarlo andare, allora hai toccato l’amore vero. È facile? No. Ne vale la pena (cioè il dolore)? Con grande fatica, mi sento di dire di sì.
Ma pensiamo a Gesù, che non ci ama solo a parole, non ci ama solo a forza di Ti amo, ma si è squarciato per sempre nella nostra storia personale. E, da allora, davanti ai nostri occhi regna nuda la sua croce, con corpo e cuore appesi, e col volto muto, completamente silenzioso, immobile, che pure grida e canta il suo amore per ciascuno di noi.
L’amore incasina la vita, e ti invita ad essere pronto a donarla. Se non vuoi lasciarti cambiare e stravolgere la vita, se non vuoi avere a che fare con la sofferenza, se non vuoi abbracciare una croce, non seguire nemmeno Dio. Se non sei disposto a scomodarti, a perdere il tuo tempo, il tuo sonno, i tuoi impegni, la tua vita, non riuscirai ad amare nessuno. Ti legherai, forse, avrai relazioni, ma saranno a metà o a scadenza, e lo saranno perché l’altro sentirà che gli vuoi bene ma fino a un certo punto, che lo ami ma … a distanza e sempre da seduto.
Invece, chi ama davvero sa che a un certo punto dovrà crepare per l’altro. Sa che non ci sarà niente di gratificante, ma è comunque disposto ad accogliere e a vivere questa verità. A pensarci bene, la morte – crepa più grande nella storia di tutti, anche in quella di Dio – esiste per farci re-incontrare l’Amore faccia a faccia, una volta per sempre, senza perderLo più.
Allora chiediamoci sinceramente: siamo disposti a farci scomodare dall’amore?
Benedetta