Un mondo di rumori
Nello scorso articolo abbiamo considerato la preghiera come il GPS dell’anima, facendo il punto su dove ci troviamo per conoscere dove vogliamo andare. Il nostro mondo è caotico: siamo in un clima culturale poco incline al silenzio e alla preghiera: siamo sempre di corsa, non abbiamo tempo di ascoltare, i nostri programmi televisivi pullulano di opinionisti che parlano uno sopra l’altro, siamo sommersi di informazioni non richieste, di siti internet, di social network, di foto, di pensieri, di mode passeggere, di influencer, al telegiornale ci danno quasi sempre “cattive notizie”… e dov’è il Vangelo, che dal greco si traduce con “la Buona notizia”? Che senso ha la preghiera? In una cultura dell’effimero, c’è qualcosa che resta in eterno? Dove trovare una stabilità per l’anima, troppo spesso sballottata tra idoli che promettono felicità e lasciano il cuore vuoto?
Il silenzio esteriore
La risposta è facile e allo stesso tempo difficile, perché occorre mettere in pausa i tanti “rumori” per lasciare che il cuore si riabitui a desiderare ciò per cui vale la pena vivere, perché lo segua e possa trovare una risposta che non muta. Il primo passo per vivere una vita spirituale è tacere: per ascoltare le parole, e anche la Parola di Dio, è necessario che parli una persona alla volta, senza la confusione di sovrapporsi uno sulle parole dell’altro. La cultura non ci aiuta, ma noi, come persone dotate di libertà, possiamo prenderci alcuni minuti a fine giornata per fare silenzio, pensare, pregare. Il primo passo è il silenzio esteriore: trovare e decidere di darsi un momento della giornata in cui si possa stare in silenzio, senza distrazioni, alla Presenza di Dio. È il silenzio del corpo, che lasciamo quieto, senza trascinarlo nelle occupazioni quotidiane.
Il silenzio interiore
Il secondo passo è il silenzio interiore: il silenzio dei pensieri e dei sentimenti, che abitualmente vagano dal passato al futuro; questo continuo passaggio ci fa vivere di rimorsi, rimpianti e pieni di ansie e preoccupazioni per il domani, desiderando spesso l’irrealizzabile, e ci impedisce di vivere il presente, che è l’unico tempo che ci è donato di vivere. Dalla dispersione della mente e dei sentimenti arriviamo alla calma del cuore. “Rientrare in noi stessi”, raccogliere tutte le nostre facoltà per presentarle al Signore: “ti offro questa preoccupazione, ti affido questo problema, pensaci tu perché per me è una distrazione e non mi fa vivere bene”.
Umiltà di chiedere lo Spirito Santo
Il terzo passaggio è avere la consapevolezza che non siamo capaci di pregare, e chiedere che sia lo Spirito Santo a pregare in noi, liberandoci dalla nostra presunzione di sapere tutto. Essere poveri davanti al Signore, per lasciare che ci insegni a pregare, che ci faccia comprendere e pronunciare le parole che Lui desidera: “Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza, perché nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili” (Romani 8,26).
Lasciar libero Dio
Il quarto passaggio è sciogliere la preghiera dalle nostre attese e pretese. Lasciamo con gratuità spazio all’iniziativa di Dio. Offriamo tutti i nostri desideri, esprimiamo le nostre attese al Signore, ma da veri figli non sappiamo quale sia il vero bene per noi, dobbiamo lasciarlo libero di fare quello che Lui desidera per la nostra vita. La preghiera non può dirsi cristiana se non preghiamo come Gesù: “sia fatta la tua volontà”, “non come voglio io, ma come vuoi tu”.
Non costringiamo le persone a parlarci, e non costringiamo nemmeno Dio a dirci quello che ci vogliamo sentir dire. A volte Dio non ci dà quello che chiediamo e non si fa sentire nei modi che ci aspettiamo, ma Lui viene sempre e parla sempre. È questa la vera fede. “O Dio, non mi hai dato niente di quello che ti ho chiesto, ma mi hai dato tutto ciò di cui avevo bisogno”, dice una preghiera. Restiamo in attesa, pronti alle sorprese di Dio, che ci ama infinitamente.
Buona preghiera
Vostra sorella “Si naturale”
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