E’ meglio essere guariti o salvati è un meditazione sul Vangelo secondo Marco 6,53-56
“In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli, compiuta la traversata fino a terra, giunsero a Gennèsaret e approdarono.
Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse.
E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati”.
“…e quanti lo toccavano venivano salvati”. Solo il Vangelo può permettersi una conclusione così sorprendente e spiazzante, una conclusione che ci immerge da capo a piedi nel Mistero di Dio, del Suo Amore per noi.
La scena è abbastanza consueta: folle, a volte oceaniche, vanno a Gesù. Nel racconto marciano non ci viene indicato il motivo di questa migrazione di massa, ma noi lettori, per inferenza, sottintendiamo che nel loro cuore alberghi il profondo desiderio di essere guariti, sanati. Chi non si sarebbe messo in cammino davanti ad un’occasione del genere? Gesù taumaturgo affermato, uomo dei miracoli è in zona, chi non avrebbe fatto chilometri per ricevere da lui la grazia di una guarigione?
La pericope evangelica termina, soprendentemente, con un termine: “salvezza”. Coloro che avevano toccato Gesù o il suo mantello, Marco non precisa, venivano “salvati”. Ora probabilmente il termine greco ha in sè anche il concetto di guarigione ma stando alla traduzione liturgica noi sappiamo che i presenti sono sicuramente salvati e, forse, guariti.
Ed io come avrei reagito a ciò? Imbevuto come sono della cultura del benessere a tutti i costi e a qualsiasi prezzo? Come mi sarei comportato di fronte ad un Gesù che non risponde ad un mio bisogno, pur sacrosanto, come la guarigione da una malattia? Non credo bene, avrei probabilmente inveito, forse avrei battuto i piedi come un bambini capriccioso che non ottiene ciò che vuole, avrei sicuramente tenuto il muso. Lo faccio per le piccole cose, immaginiamo per quelle importanti.
La fede però, da quel poco che ho compreso e aggiungerei “per grazia”, non è “ottenere che si realizzino tutti i nostri desideri” ma fidarsi di un Padre che ci ama e che ci fa del “bene” in un modo spesso misterioso.
Per concludere vorrei lasciare la parola ad una donna Marthe Robin che mirabilmente ha saputo vivere sulla sua pelle una malattia che l’ha tenuta “inchiodata” (il termine non è scelto a caso) ad un letto e ha vissuto questa sofferenza come una Messa continua, come soleva dire lei. Ecco, quindi, due frasi che vorrei facessero da cornice a questa giornata mondiale del Malato che si celebra proprio oggi nel giorno della Beata Vergine di Lourdes per aiutarci a comprendere, e magari, ad amare il grande mistero della sofferenza:
“Gesù non ci ha promesso di toglierci la croce. Ci ha detto di mettercela sulle spalle, ma con Gesù, la croce diventa tutto amore.“Soffrire insegna la carità, l’abbandono a Dio, il distacco.
“Soffrire insegna a vedere e a comprendere. Soffrire insegna ad alleviare, a compatire, a consolare quelli che soffrono.“
Altre meditazioni sulla Parola di Dio sono qui, nella nostra rubrica Lievito-nella-pasta/