Dalle norme liturgiche alla teologia liturgica. Un dinamismo che investe anche lo spazio è una riflessione contenuta in ABC LITURGICO realizzata dal prof. Lanni Cristian.
(Franca Ghitti, Ultima Cena)
La liturgia – che deriva dalla parola greca λειτουργία – proviene dal più ampio significato di “lavoro comunitario, della gente”. In quanto tale, il termine non ha esclusivamente ambiti di applicazione religiosi, sebbene questi ne siano indubbiamente i più noti. Nella chiesa delle origini la liturgia ebbe, anzi un ruolo centrale nella formazione della Chiesa e persino i vangeli, nella forma che noi conosciamo, nacquero essenzialmente per scopi liturgici, come un lezionario ante litteram. Nel corso dei secoli, però, le differenze dei riti liturgici furono anche il segno di una differenziazione su base nazionale o, a volte anche di diverse interpretazioni dottrinali. Gli esempi più chiari sono per i riti orientali, ma prima dell’affermarsi del rito romano, anche in occidente si avevano riti nazionali, come il mozarabico in Spagna e quello Gallicano in Francia o il rito ambrosiano, in Italia. Tuttavia nel corso dei secoli il rito romano ha progressivamente assorbito tutti i riti, fatta eccezione di talune enclave che ne conservano la peculiarità; la più nota è il caso del rito ambrosiano, nell’Arcidiocesi di Milano.
Lo scopo del presente lavoro è quello di mostrare come essenzialmente nata dalle norme che la regolavano, la liturgia, nel tempo sia divenuta anche teologia, ovvero teologia liturgica, con un dinamismo suo proprio. Un dinamismo così profondo che arriva ad investire anche lo spazio della celebrazione liturgica che deve – necessariamente diremmo – rispecchiare quel moto vitale che i divini misteri stessi rappresentano nella loro celebrazione. Tale dinamismo necessario è giustificato dal fatto che Dio non abita le pietre, immobili e granitiche, ma si lega alle persone viventi, così come nell’Incarnazione, ancora oggi, la tenda di Dio si pianta nel cuore dell’uomo, non nella sterilità di una pietra.
(Floriano Bodini, Papa Giovanni e i Cardinali)
L’innovazione di Sacrosanctum Concilium
La Costituzione conciliare sulla liturgia – Sacrosanctum Concilium – ha presentato una nuova definizione di liturgia, ovvero luogo teologico nel quale si attua l’opera redentrice attraverso il sacrificio di Cristo: “La liturgia infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell’eucaristia, «si attua l’opera della nostra redenzione», contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa” [1]. Tale definizione potrebbe approfondirsi considerando che per il compimento di una così grande opera, che permettere di rendere gloria a Dio così perfetta che essa stessa santifica gli uomini, Cristo stesso associa a sé la Chiesa, sua sposa amatissima, la quale lo invoca come suo Signore e per mezzo di Lui – divino Fondatore – rende il culto all’eterno Padre. Giustamente, allora, la liturgia può considerarsi come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. In virtù di ciò, ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne eguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado [2]. La liturgia, dunque, è azione sacra, l’azione di Cristo che vive ed attua il suo sacerdozio, offrendo sé stesso al Padre per salvare l’umanità ed associando a sé la Chiesa, che procede verso Dio, come si può leggere QUI e QUI.
Da quanto detto, possiamo ricavare una deduzione preziosa, se la liturgia è l’azione di Cristo che offre sé stesso per redimere l’umanità peccatrice, la partecipazione dell’uomo alla liturgia consente di prendere parte all’azione salvifica di Gesù, che lo rende sempre più conforme a sé mediante una vita di santificazione.
Inoltre, attraverso la liturgia, la Chiesa manifesta e testimonia la Persona in cui crede, cioè il Cristo (QUI); essa celebra la propria fede attraverso i segni e i gesti collocati nel contesto liturgico che esprimono l’evento salvifico di Gesù, il quale entra nel Santuario con il Suo Sangue e rende giusti i peccatori, associando a sé la Chiesa Sua Sposa.
(Sirio Atelier, Casula, dalla collezione “Casula. Interpretazioni”)
Segni e simboli: modalità di lettura della spiritualità
L’uomo è essere corporale e spirituale insieme, essere che percepisce le realtà spirituali attraverso segni e simboli materiali, necessari anche per comunicare con il prossimo, oltre che con Dio [3]. Le realtà sensibili diventano, allora, il luogo in cui si manifesta l’azione di Dio che santifica gli uomini e l’azione degli uomini che rendono culto a Dio. Proprio la valorizzazione dei segni e dei gesti umani all’interno della liturgia, ha fatto comprendere una necessità fondamentale, ovvero che essa non venga imprigionata in una rigida uniformità esteriore, ma che sia in grado di mantenere ciò che è utile per trasmettere il messaggio salvifico nell’unità sostanziale della celebrazione eucaristica. Tale dinamicità deriva non solo dal superamento della concezione solo normativa della liturgia, ma anche dall’averne proposto ed approfondito il significato teologico.
Attraverso la liturgia, dunque, ogni fedele, ogni uomo, riesce a rileggere in chiave simbolica la sua spiritualità, nella forma che la Chiesa ha categorizzato per la celebrazione eucaristica, culmine e fonte della vita e dell’azione della Chiesa, seppure non la esaurisca. E al fine di vivere nel miglior modo possibile questo mistero significativo del memoriale perpetuo della passione, morte e resurrezione di Cristo, Divino Fondatore, ogni cristiano è chiamato a vivere la liturgia con actuosa partecipatio, ovvero mediante atti posti in essere con il coinvolgimento di tutto il corpo, la mente, il cuore.
La qualità maggiormente auspicata dal Concilio, nella sua riforma (di cui si può leggere QUI e QUI) – e ripresa in maniera chiarissima dal Proemio di Sacrosanctum Concilium – è indubbiamente quella della consapevolezza. Consapevolezza di ciò che si prega, derivante da una migliore e più approfondita conoscenza della Sacra Scrittura, del significato teologico della liturgia alla quale partecipa, oltre che con l’adattamento alla lingua corrente dei testi liturgici letti durante le celebrazioni. È fondamentale una attiva partecipazione, coinvolgente di tutta la persona, dunque. Come chiarisce il n. 42 del Nuovo Ordinamento generale del Messale Romano, i gesti e gli atteggiamenti del corpo, tanto dei ministri, quanto dei fedeli, devono tendere a far sì che tutta la celebrazione risplenda per decoro e per nobile semplicità, che si colga il vero e pieno significato delle sue diverse parti e si favorisca la partecipazione di tutti. Questa insistenza sui gesti e sugli atteggiamenti del corpo è fondata sull’antico adagio di Tertulliano Caro salutis cardo. La carne, il corpo, la materialità di questa nostra esistenza costituisce, per così dire, il locus theologicus, lo strumento fondamentale per comunicare la salvezza. La partecipazione attiva non è soltanto un diritto e un dovere fondato sul battesimo [4], ma un’esigenza della natura umana e delle leggi della comunicazione. Essenzialmente si potrebbero attribuire ai gesti della liturgia – perché si possa dire attivamente partecipata – due caratteri fondamentali: la nobile semplicità e favorenti la partecipazione di tutti. La prassi tradizionale aveva abituato tutti ad una sterile esecuzione di quanto prescritto, inevitabilmente scaduta in una meccanicistica e pedissequa banalizzazione, spesso pure scevra di una comprensione del significato più profondo di quanto si compie. Una rinnovata e nobile semplicità del gesto, rappresentata anche semplicemente dal silenzio, un silenzio rituale – presente in maniera potremmo dire preponderante nei nuovi rituali – significa in maniera semplice, ma profonda il mistero della celebrazione stessa. Naturalmente questo avviene se il silenzio non è inteso come individuale, sterile, ma come silenzio rituale, di contemplazione del mistero celebrato nella forma più interiorizzante. Un altro possibile segno nobile e semplice è quello della musica liturgica – di cui si può leggere QUI – che pure aiuta e assieme arricchisce la preghiera e il mistero celebrato. Quanto al favorire la partecipazione di tutti, il cristiano si riconosce come tale non semplicemente perché prega, ma perché capace di comunione. La partecipazione attiva è chiamata ad esprimere e ad alimentare questa comunione. La celebrazione liturgica è palestra di comunione; la partecipazione attiva è allenamento alla comunione. Nella preghiera privata si possono assumere gli atteggiamenti più graditi. Nella preghiera liturgica, per quanto possibile, ci si deve adeguare agli atteggiamenti di tutta l’assemblea. Naturalmente è necessaria una precisazione: la partecipazione attiva non implica lo stravolgimento dell’ordo, né una creatività selvaggia priva di competenza e di saggio confronto [5], onde evitare aberranti abusi (QUI).
(Mirko Basaldella, Crocifissione)
La norma liturgica e la teologia liturgica in Sacrosanctum Concilium.
In quanto Costituzione sulla Sacra liturgia, Sacrosancctum Concilium è essa stessa indicante un ordine gerarchico tra le dimensioni della liturgia, ovvero quella divina e quella umana; dunque per ciò si può definire essa stessa fonte di diritto liturgico. L’ordine gerarchico è dato affinché la natura umana dell’azione liturgica sia subordinata alla pars divina così come il visibile lo è all’invisibile, l’azione alla contemplazione e la realtà presente alla Città futura [6]. Appare, dunque, evidente che la subordinazione della dimensione umana della liturgia a quella divina ponga Gesù Cristo come apice della Rivelazione della Presenza di Dio fra gli uomini e la sua stessa vita umana-divina diventa normativa per ogni cristiano. Può affermarsi che la liturgia risponde alla norma suprema del Vangelo annunciato da Gesù per poter esprimere il mistero di salvezza donata dal Figlio di Dio. Ciò considerato, allora, non sembra azzardato affermare la subordinazione della liturgia al comandamento dell’amore, mostrato nella sua attuazione massima dal memoriale del sacrificio di Cristo stesso nel Sacramento dell’altare. La liturgia, dunque, è subordinata all’Autorità della Parola di Dio, prima norma ed al contempo valore supremo dell’azione della Chiesa.
La Costituzione propone in chiave assiologica una nuova concezione di norma liturgica ovvero a tutela dei valori spirituali, aventi come fondamenti la gloria di Dio e la salvezza delle anime espressi nel mistero stesso della salvezza. Proprio questa nuova proposizione ci permette di comprendere ancor meglio come la norma liturgica pre-conciliare si fosse impoverita dell’aspetto valoriale, riducendosi a mero prescritto precettivo a tutela di forme, segni e simboli piuttosto che di formula a protezione del bene spirituale dell’uomo e della sua consapevolezza di pregare e dialogare con Dio. La liturgia come norma è già di per sé qualificata nella sua valenza assiologica da Sacrosanctum Concilium [7] ma al contempo è definita nel limite del suo valore vincolante, laddove si afferma che essa non esaurisca l’azione della Chiesa [8]. E dunque, così come riletta dal Concilio, la liturgia è norma aperta subordinata alla prima fonte della vita terrena e celeste che è il Verbo Incarnato, Cristo Gesù, presente nella stessa. Il Concilio, dunque, sembra aver colto il sano equilibrio tra norma e vita, cioè norma o misura normativa a tutela della vita dell’uomo, anche della sua vita spirituale e di unione con Dio, ma aperta ad essere superata e completata dall’amore, meglio detto con le parole di Paolo: pieno compimento della legge è l’amore [9]. La funzione normativa della liturgia, poi si esprime laddove si afferma che essa spinge i fedeli, nutriti dei sacramenti pasquali, a vivere in perfetta unione; pregando affinché esprimano nella vita quanto hanno ricevuto mediante la fede; la rinnovazione poi dell’alleanza di Dio con gli uomini nell’eucaristia introduce i fedeli nella pressante carità di Cristo e li infiamma con essa [10]. La norma liturgica, allora, spinge l’uomo ad incontrare Dio nell’amore, a scoprirlo nell’esperienza più alta di preghiera, che è la liturgia attraverso la lettura della Parola e lo spezzare il pane insieme come comunità riunita nel nome di Cristo per nutrirsi del Suo Corpo e del Suo Sangue. Al contempo, oltre che fonte del diritto liturgico, la Costituzione si fa garante, in modo normativo, del significato teologico della liturgia sotto l’Autorità della Chiesa, sia della sua conformità alla tradizione, sia del progresso che essa è chiamata a promuovere come adattamento all’indole e alla tradizione de popoli [11].
Prof. Cristian Lanni
[1] SC, n. 2.
[2] cfr. SC, n. 7.
[3] cfr. T. Perrone, Corpo, spirito e persona in Max Scheler, in Corpo e anima oggi, Padova 2004, 209-210.
[4] cfr. SC, n.14.
[5] Per approfondire la tematica dell’actuosa partecipatio, si veda: A. Montan – M. Sodi, Actuosa partecipatio. Conoscere, comprendere e vivere la liturgia, Città del Vaticano 2002.
[6] cfr. SC, n.2.
[7] cfr. Ibidem.
[8] cfr. SC, n.9.
[9] cfr. Rm 13, 8-10.
[10] cfr. SC, n.11.
[11] cfr. SC, 37-40.