Secondo i padri del Vaticano II «il santo di oggi dovrebbe prefiggersi di essere perfettamente trascendente e perfettamente incarnato, […]perfettamente dato al prossimo nell’apostolato e completamente a Dio nella contemplazione». Nel corso della storia cristiana vi sono state figure di santità che hanno avuto un largo riconoscimento popolare. Tra quelle più rappresentative di Terra d’Otranto vi è, senza ombra di dubbio, quella del venerabile Servo di Dio Fra’ Giuseppe Ghezzi OFM, laico professo dell’Ordine dei Frati Minori.


La figura di Fra’ Ghezzi ha inequivocabilmente segnato il cuore di tanti fedeli, molti di questi lo ricordano ancora oggi. La sua testimonianza cristocentrica ha voluto trasmettere l’amore redentivo di Cristo per ogni singolo uomo. Il suo “metodo di evangelizzazione” nacque dal suo esempio di vissuto quotidiano genuinamente evangelico, che lo stimolò verso un totale dono di sé.

Della vita di Fra’ Giuseppe molto sappiamo grazie alla sorella che curò la prima biografia. La sorella, suor Maria Clotilde del Sacro Cuore, monaca carmelitana a Bari, infatti, intuendo la “santità” del fratello, ancora lui vivente, si preoccupò che non ne andasse perduta la memoria storiografica dello stesso e con passione storiografica ha raccolto un vero e proprio Corpus memoriarum Josephinum, comprendente più lavori biografici sul fratello, copie delle lettere di lui e relazioni sulle grazie ricevute dopo la morte.

La fanciullezza

La storia di quest’umile frate si svolge a Lecce: una terra complessa, fatta di luci e di ombre.
Alle luci senza, alcun dubbio, appartengono le vicende di molti testimoni della fede tra cui questo seguace di Cristo sulle orme di Francesco.
A Lecce, nella nobile casa dei Conti Ghezzi, Michele Giuseppe nacque il 19 agosto 1872, quarto di sette fratelli. Il padre Pasquale, avvocato, era Duca di Carpignano, la madre, Carmela Carrozzini, era Baronessa di Soleto, entrambi molto pii. Michelino, come era familiarmente chiamato, d’animo sensibilissimo, aveva anche l’esempio di due prozii missionari e della nonna che aprì le porte di casa ai gesuiti colpiti dalle leggi anticlericali. Bambino vivace, impulsivo, a volte anche prepotente, ricevette una prima istruzione in casa, come era consuetudine nelle famiglie agiate.
Si iscrisse poi, da esterno, al Collegio Argento dei Gesuiti ma a sedici anni, per gravi problemi di salute, fu costretto a ritirarsi. Le lunghe cure, inevitabilmente, lo portarono ad isolarsi e lui trovò il conforto nella preghiera.

Profondamente religioso, come passatempo costruiva presepi.
Quando si rese necessaria una delicata operazione chirurgica, la madre decise che prima si
sarebbero rivolti alla Madonna di Pompei. La guarigione arrivò e, per segnalare la grazia, fu Michele in persona che scrisse una lettera al beato Bartolo Longo.
Giovane ventunenne, finalmente in salute, contrariamente ai fratelli che, seguendo le orme paterne, studiarono Legge, intraprese gli studi di pittura. Mise in pratica però, soprattutto, gli inviti del Vangelo che ascoltava fin da quando era bambino. Sue confidenti privilegiate erano la madre e la sorella minore.

Iniziò ad aiutare in parrocchia, a insegnare il catechismo ai bambini preparandoli alla confessione e alla comunione e, grande devoto dell’Eucaristia, accompagnava volentieri i sacerdoti al capezzale dei malati. Aderì alla “San Vincenzo”, all’Opera di Propaganda Fede, all’Opera della Santa Infanzia: sapeva bene che «la fede senza le opere è morta» e a quei tempi la miseria era ad ogni angolo di strada.
Lui, il figlio del Conte, per aiutare i poveri cominciò a tendere la mano anche oltre il cerchio delle conoscenze e mentre avvicinava, sia benefattori che bisognosi, dava consigli e conforto.
Sebbene fosse giovane, in molti trovarono sollievo nelle sue parole, nel suo sguardo e nel suo
abbraccio.

L’incontro con i francescani

Amava il grande santo di Assisi che da ricco si era fatto povero per amore del Signore e Michele, proprio nella spiritualità francescana, trovò la risposta al proprio futuro. Entrò in contatto con il Terz’Ordine grazie a Donna Letizia Balsamo, mentre due gravi lutti lo portarono definitivamente sulla strada della consacrazione religiosa. Quando aveva ventisei anni morì, quasi improvvisamente, il padre, quattro anni dopo fu la volta della madre, la “complice” delle sue opere di pietà.
In quegli anni, superata anche a Lecce la tempesta delle soppressioni religiose, i Minori Riformati, proprio grazie a Donna Balsamo, prendevano sede stabile presso “il podere di Fulgenzio”, un’antica dimora quattrocentesca posta appena fuori dal centro cittadino, che i frati adattarono alle proprie esigenze.

Michele decise di entrare tra i francescani declinando l’invito del vescovo che lo avrebbe accolto volentieri tra il suo clero. Determinato a non diventare sacerdote, bussò al convento di S. Antonio. Aveva trentatré anni e i frati dovettero superare non poche perplessità. Per quei tempi era un postulante “troppo maturo”, la salute restava cagionevole e soprattutto era un nobile che in città conoscevano tutti. Michele insistette.
Fece il suo ingresso in convento il 2 agosto 1906, con l’intento di servire Dio e i fratelli «in qualche piccolo servizio». Alla sorella, che da quattro anni era carmelitana a Bari col nome di suor Maria Clotilde (Ghezzi), scrisse: «Quanto è buono il Signore!».

Partì per la casa di noviziato di Galatone, ormai era fra Giuseppe. La sua celletta era di fronte a quella abitata da S. Egidio Maria da Taranto (la sua storia qui) che prese a modello. I problemi di salute, però, fecero posticipare la professione. Poteva giovargli il cambiamento d’aria e quindi tornò a Lecce, poi fu mandato al convento di Squinzano. Professò finalmente l’8 settembre 1909.
Nell’umile veste di fratello laico visse in diversi conventi della Provincia di Terra d’Otranto: Manduria, Martano, Francavilla Fontana, Soleto. Nelle varie comunità ricopriva solitamente il compito di sacrestano e di questuante e quindi il “Conte con la bisaccia” diveniva presto familiare.

La seconda parte della storia di Fra Giuseppe Ghezzi sarà disponibile mercoledì prossimo.

Andrea Maniglia

Altri articoli sui “santi nascosti“, li trovate nella rubrica dedicata.

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