Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi»
Capite quello che ho fatto per voi?
Non so, Signore, se ho capito. Ho osservato, incredulo, quanto accaduto sei giorni fa. Non so se mi ha stupito di più cosa hai fatto per Lazzaro, richiamandolo alla vita – ma so quanto gli volevi bene, e so ancora meglio che sei capace di questo e altro – oppure cosa ha fatto sua sorella Maria per te: quasi mezzo chilo di profumo usato – buttato! – così, non ai tuoi piedi, magari per venderlo e darne il ricavato ai poveri, ma per i tuoi piedi, di lì a poco di nuovo sporcati dalla polvere delle strade di Giudea, dimentichi del profumo della casa di Betania.
Capite quello che ho fatto per voi?
No, Signore, non ho capito. Ho intuito qualcosa di grande quando ho visto che la gente di Gerusalemme ti ha accolto e tu, cavalcando un puledro come annunciato dalle Scritture, mite e sorridente, ti sei confuso in quello strepito così forte, ti sei mischiato a quelle urla festanti – gioiose, sì, ma talmente chiassose da spaventare – tu così schivo fino ad allora, pronto a scappare davanti a chi venne a prenderti per farti re dopo che distribuisti il pane e il pesce per una folla ancora più grande (e ancora mi commuovo, non tanto per il miracolo che ha sfamato una moltitudine, quanto per il tuo sguardo, prima di spezzare il pane e offrire il pesce, verso l’alto, verso il Padre).
Capite quello che ho fatto per voi?
No, Signore, e mi chiedo perché ci hai chiesto di prendere un asino per farti entrare in città, facendoci dire al suo padrone che tu ne avevi bisogno – puoi forse aver bisogno di qualcosa, Signore, bisogno di un asino? – e ancora mi domando perché ci hai fatto andare da quell’uomo con la brocca d’acqua cercando un luogo per mangiare la cena di Pasqua, quest’anno. Perché, Signore, tutti questi preparativi? Cosa sta succedendo di diverso, rispetto agli altri anni passati con te, a guarire i malati e ad annunciare che il Regno di Dio si sta compiendo, che è in mezzo a noi?
Capite quello che ho fatto per voi?
No, Signore, questo no! Crediamo, sì, che Dio ti ha mandato per annunciare la libertà a chi era prigioniero nelle ombre di una vita senza senso, di una vita già morta, crediamo al tuo insegnamento diverso da quello degli scribi e dei farisei, ma è troppo anche per te, ora, spogliarti e metterti a terra come l’ultimo dei servi e iniziare a lavarmi i piedi.
No, Signore, no! Ci hai sempre detto che il più grande tra noi deve essere l’ultimo di tutti e il servo di tutti… ma questo vale per noi, non per te! No! Tu no, tu sei Dio!
Capite quello che ho fatto per voi?
Non so, Signore, se ho capito, in mezzo al trambusto di questi giorni.
Mentre provo a fermarti, tu mi guardi, e in quello sguardo – nessuno mai mi ha guardato come mi guardi tu – rivedo gli occhi della sorella di Lazzaro, gli occhi di Maria, fissi su di te, i suoi occhi nei tuoi occhi, mentre ti massaggiava i piedi dopo averli unti di nardo prezioso. Tu l’hai lasciata fare, non ti sei opposto, come ho fatto io.
Non so, Signore, se tu hai capito cosa lei ha fatto per te, cosa l’ha spinta a fare questa follia, contro il buonsenso, contro la morale, contro il giudizio e il pregiudizio di noi, che la guardavamo increduli come ora fissiamo te.
Forse, Signore, tu hai imparato da lei come l’amore debba essere senza senso e senza misura, senza mezzi termini né paure di mettere in mezzo fra me e l’altro falsi pudori, inutili perbenismi, ipocrite ostentazioni. È così, oppure non è amore.
Forse, Signore, sei giorni fa, nella casa di Betania, hai imparato qualcosa di più sacro dell’offerta nel tempio; qualcosa di più nobile dell’unguento che consacra i re; qualcosa di più prezioso dei denari risparmiati da una vita.
Non so, Signore, se ho capito. Forse capirò un po’ di più quando, come te, come Maria, mi farò piccolo, mi chinerò, mi abbasserò e proverò a servire chi mi sta di fronte.
Paolo Spina
Il Vangelo di questo Giovedì Santo, Cena del Signore: Gv 13,1-15
La meditazione, invece, a questa ultima Domenica delle Palme, “Smettere” di Alessandro Dehò.