Il beato Giuseppe Ambrosoli, la cui fama di santità era già consolidata al momento della morte fu «un medico e sacerdote religioso comboniano che ottenne abbondanti frutti missionari» e unitamente un «modello di altissima carità nel suo lavoro in Uganda in
situazioni alle volte molto difficili che esigevano un eroico lavoro missionario» (Relatio et vota, p. 19). La fama di santità del Servo di Dio, «risulta accompagnata da una discreta fama signorum: alcuni testi hanno esplicitamente riferito di grazie e di presunte guarigioni
miracolose ottenute per sua intercessione» (Relatio et vota, p. 127). Il Servo di Dio, il cui «cammino fu caratterizzato da impegno e testimonianza di grado non comune» (Relatio et vota, p. 127) è divenuto, nel tempo, un modello per il Popolo di Dio.
L’Infanzia e giovinezza del Beato Ambrosoli
Venuto alla luce a Ronago (provincia e Diocesi di Como) il 25 luglio 1923, Giuseppe trascorse l’infanzia e l’adolescenza in seno alla famiglia, proprietaria della famosa industria produttrice di miele.
La madre Palmira Valli, fu, per il beato, un esempio di pietà e devozione. Dopo le classi
elementari a Ronago, frequentò il collegio “Calasanzio”, dei Padri Scolopi di Genova, per
terminare gli studi liceali presso l’Istituto “A. Volta” di Como. Nel frattempo, entra a far parte di un gruppo, denominato, “Il Cenacolo”, avviato da don Silvio Riva; gruppo ideato per la formazione più approfondita di alcuni giovani, già appartenenti all’Azione Cattolica.
Il 27 marzo 1944, venne arruolato a Como nell’esercito e trascorse il successivo mese
presso l’Ospedale Militare di Baggio, in provincia di Milano, nel reparto Sanità. Dal 26 aprile, all’8 dicembre 1944, venne mandato in Germania, nel campo di addestramento di Henberg. Richiamato in Italia e inviato all’Ospedale Militare di Berceto (Parma) si fece notare «per l’ottima condotta morale e religiosa, con frequenza quotidiana dei santi sacramenti» (Summarium, p . 299).
La laurea in Medicina e la vocazione tra i Missionari Comboniani
Nel 1949 si laureò in Medicina e chiese di essere ammesso nella Congregazione Missionari Comboniani del Cuore di Gesù, particolarmente dedita
all’apostolato missionario. Terminato il noviziato nel 1953, il beato venne trasferito a
Venegondo Superiore, per il completamento degli studi teologici. Lusinghieri i risultati
conseguiti negli esami. Fu ordinato sacerdote, a Milano, il 17 dicembre 1955 dal futuro Paolo VI. Celebrò la sua prima messa a Ronago il 18 dicembre 1955.
Richiesto, dal P. Antonio Malandra, per dirigere un nuovo centro sanitario in Uganda, il
beato, fu inviato dal P. Generale Antonio Tedesco in Africa. Vi giunse agli inizi del 1956,
precisamente nella località di Kalongo, all’epoca molto isolata. In breve tempo, venne notato anche dallo stesso Vescovo locale Mons. G. Battista Cesana quale persona straordinaria (Informatio, p. 70).
A Kalongo passerà tutta la sua vita missionaria, esattamente 31 anni, dal 19 febbraio 1956 al 13 febbraio 1987. Oltre all’Ospedale di Kalongo, che sotto la direzione del beato assunse sviluppo e fama notevoli anche fuori dai confini dell’Uganda, nel 1959 fondò sempre a Kalongo la Scuola per Ostetriche e Infermiere. La sua opera fu conosciuta e stimata, e soprattutto costituì un punto di riferimento qualitativo per tutta la zona centro-orientale dell’Africa. Partecipò in prima persona a tutta la storia che sconvolse l’Uganda dopo l’indipendenza: dall’avvento del dittatore Amin, al dopo Amin.
L’ultima fase della vita terrena e la fama di santità
L’ultima fase della vita fu scandita dalla sua malattia ai reni, dalla precarietà della situazione politica ugandese e dalla chiusura dell’ ospedale a Kalongo. L’insieme di questi fattori incise negativamente sulla salute psico-fisica del beato da affrettarne, così, il declino e la morte.
Il 27 marzo 1987 accolse la morte con serenità. Le sue ultime parole furono di affidamento a Dio: «Signore, si faccia la tua volontà fosse anche cento volte» (Informatio, p. 136). I funerali ebbero luogo il 28 successivo, presieduti dal Vescovo di Lira Mons. C. Asili. La morte del di p. Ambrosoli ebbe una vasta risonanza presso la gente che ebbe modo di incontrarlo e nell’opinione pubblica in Uganda e anche a Como. Per il perdurare della fama di santità, che esisteva già durante la vita del Servo di Dio, e che aumentò dopo la sua morte e traslazione dei suoi resti mortali a Kalongo (10 aprile 1994), si proseguì ad istruire l’inchiesta diocesana sulla vita, le virtù e la fama di santità, nella diocesi di Gulu (Uganda) aperta da Mons. J. B. Odama dal 22 agosto 1999 al 4 febbraio 2001. Venne beatificato nella parrocchia di Kalongo, precisamente
nel polo medico di un’antica missione dell’East Acholi, il 20 novembre 2022.
Padre Giuseppe, sacramento di Dio.
Padre Giuseppe, nei suoi 64 anni di vita, 31 dei quali trascorsi in Africa, seppe vivere in
modo eccellente la quotidianità, sostenuto, a tal proposito, dall’incontro spirituale col san Charles de Foucauld (cfr. Relatio et vota, p. 57) la cui figura lo aiutò nel configurare la sua vita ancor maggiormente su Cristo. La sua testimonianza eroica fa di P. Giuseppe Ambrosoli una figura nella quale ogni cristiano può specchiarsi, ritrovare conforto nelle miserie e ricevere impulsi per migliorarsi.
P. Ambrosoli volle essere “sacramento di Dio” (cfr. Relatio et vota, p. 91) per i malati, dimostrando uno zelo ed una passione straordinaria. È indubbia, pertanto la fama di santità apparsa subito dopo la prematura morte, segnata dall’eroismo della sua carità missionaria, ma soprattutto per la sua singolare maniera di esercitare l’arte medica.
Quanti lo hanno conosciuto, hanno concordemente testimoniato riguardo la sua
intensa e profonda spiritualità, la sua bontà, la sua pazienza infinità, la sua incredibile
disponibilità e la sua trasparenza spirituale che lo identificavano come un vero uomo di Dio che gli consentirono di attirare nell’orbita di Dio quanti venivano in suo contatto. Il distacco da ogni cosa, una totale adesione alla Volontà di Dio, una generosità ed un altruismo cristiano straordinari hanno fatto di p. Giuseppe un autentico seguace di Cristo povero ed umile di cuore.
In Cristo, l’eroica speranza
Il suo amore per Cristo e le realtà celesti si riverberavano a favore dei più poveri, specialmente gli ammalati, lebbrosi, tubercolosi e mamme che dovevano partorire (cfr. Relatio et vota, p . 32). Padre Giuseppe, poi, dimostrò «un’eroica speranza in tutta la sua vita confidando sempre in Dio e avendo di mira solo i beni eterni» (Relatio et vota, p. 90). Quest’uomo buono appare, non solo un autentico figlio del Comboni ma anche un modello da imitare e che pertanto può rappresentare un invito concreto a tutti – consacrati e laici – a corrispondere alla universale chiamata alla santità. Il suo atteggiamento di vita, è poi inoltre, una lezione di deontologia professionale per i medici.
Fedele all’ideale del fondatore, P. Giuseppe Ambrosoli ha vissuto per salvare l’Africa con gli africani. I suoi trentadue anni di vita missionaria in Uganda sono stati la più efficace
testimonianza che è possibile dare spazio alla piena responsabilità degli Africani.
Andrea Maniglia
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