Sono spesso in viaggio, ma quando si fermano in una città non esistano ad accogliere chi bussa alla porta della loro casa. Artigiani, specializzati nella lavorazione del cuoio, alternano il lavoro all’impegno nella catechesi. Sono una coppia inseparabile: insieme affrontano le difficoltà, insieme prendono le decisioni importanti, insieme annunciano il Vangelo. Dove ci sono loro si formano piccole comunità domestiche. Coltivano amicizie significative e meritano la gratitudine di quanti hanno avuto modo di apprezzarne la generosità, il coraggio e la preparazione. Non esistano a mettere a rischio la loro stessa vita per la causa di Cristo e del Vangelo. Sono Aquila e Prisca (o Priscilla), una delle più luminose coppie di coniugi della Bibbia, anche se a loro sono dedicati solo pochi accenni.
Paolo, divenuto loro intimo amico, li cita in alcune sue lettere: Romani, 1 Corinti e 2 Timoteo. Negli Atti degli apostoli si parla di loro nel capitolo 18.
«Paolo lasciò Atene e si recò a Corinto. Qui trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricanti di tende».
In questa sintesi, tipica dello stile narrativo di Luca, raccogliamo tante informazioni. Prima tra tutte il peregrinare dei due e in particolare di Aquila, originario di una regione dell’attuale Turchia che si affaccia sul Mar Nero. Di qui si trasferisce a Roma dove incontra l’amore della sua vita: Prisca. Poi la persecuzione e la fuga in Grecia. Paolo diventa per loro uno di famiglia e lui si sente in famiglia con loro, tanto che li porta con sé fino a Efeso dove si fermano e mettono radici. Almeno per un po’.
La vicinanza con l’apostolo certamente li irrobustisce nella fede tanto che, senza alcun senso di inferiorità, si fanno catechisti di un personaggio come Apollo, originario di Alessandria (la capitale culturale del tempo), «un Giudeo colto, esperto nelle Scritture». Leggiamo ancora negli Atti: «Priscilla e Aquila lo ascoltarono, poi lo presero con sé e gli esposero con maggiore accuratezza la via di Dio». È l’ultima volta in cui vengono menzionati in questo libro. Sappiamo dalle lettere di Paolo che rimasero ad Efeso parecchio tempo facendo della loro casa una parrocchia ante litteram: «Vi salutano molto nel Signore Aquila e Prisca, con la comunità che si raduna nella loro casa».
Tuttavia nemmeno a Efeso sono al sicuro dalle persecuzioni. Quindi tornano a Roma. Paolo, nella lettera ai Romani, li saluta come «collaboratori in Cristo Gesù». E aggiunge: «Essi per salvarmi la vita hanno rischiato la loro testa, e a loro non io soltanto sono grato, ma tutte le Chiese del mondo pagano. Salutate anche la comunità che si riunisce nella loro casa».
Uno come Paolo non sprecava complimenti tanto facilmente, pertanto le sue parole ratificano la straordinarietà di questi coniugi cristiani. Torneranno poi ancora a Efeso per fuggire dalla persecuzione scatenata da Nerone contro i cristiani. Di qui in avanti di loro non si hanno più notizie certe. Secondo alcune tradizioni entrambi subirono il martirio.
In un contesto come il nostro (vale a dire quello dell’occidente), Aquila e Priscilla rappresentano un modello di vita coniugale attualissimo e profetico.
Attualissimo perché simile, per molti versi, è il clima di ostilità sociale e culturale in cui le famiglie cristiane si trovano a vivere.
Profetico perché questi sposi ci indicano una strada per la chiesa del futuro, come spiegava Papa Benedetto XVI: «Un’ulteriore lezione non trascurabile possiamo trarre dal loro esempio: ogni casa può trasformarsi in una piccola chiesa. Non soltanto nel senso che in essa deve regnare il tipico amore cristiano fatto di altruismo e di reciproca cura, ma ancor più nel senso che tutta la vita familiare, in base alla fede, è chiamata a ruotare intorno all’unica signoria di Gesù Cristo. […] La Chiesa, in realtà, è la famiglia di Dio. Onoriamo perciò Aquila e Priscilla come modelli di una vita coniugale responsabilmente impegnata a servizio di tutta la comunità cristiana. E troviamo in loro il modello della Chiesa, famiglia di Dio per tutti i tempi» (Udienza generale, mercoledì 7 febbraio 2007).
Aggiungo un’ultima considerazione: oggi, fatte le debite eccezioni, le chiese si mostrano molto sensibili e accoglienti verso le povertà e le fragilità vicine, ma spesso sembrano quasi del tutto indifferenti verso le comunità cristiane che, in paesi più o meno lontani, subiscono forti discriminazioni e continue violenze. Anche in questo senso Aquila e Priscilla possono provocarci e svegliarci da un torpore che sembra avvolgerci e anestetizzarci. Non lasciare soli i nostri fratelli perseguitati è un impegno che dobbiamo fare nostro, se vogliamo prendere sul serio il Vangelo di Gesù.
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Patrizio Righero