“Il prossimo Giubileo sarà un Anno Santo caratterizzato dalla speranza che non tramonta, quella in Dio”.
Con queste parole papa Francesco ci invita a guardare al Giubileo del 2025 come occasione per ravvivare in noi la speranza che “non delude” (Rm 5,5) di cui l’Apostolo delle Genti è il grande annunciatore.
Partiamo da una domanda? Dove è radicata la speranza di cui parla Paolo, quali sono le sue sorgenti?
Tutta la teologia paolina nasce dall’incontro con il Signore risorto sulla via di Damasco dove egli ha ricevuto e imparato il vangelo non “da uomini, ma per rivelazione di Gesù Cristo” (Gal 1,12).
È la sua viva esperienza del Cristo che sta all’origine di ogni riflessione teologica e di ogni parola esortativa che egli pronuncia per le comunità a cui indirizza le sue lettere.
È fuori dubbio, però, che l’humus sul quale questo incontro si colloca è la riflessione, lo studio e la familiarità che egli ha con le Scritture d’Israele. Paolo, “della stirpe d’Israele, della tribù di Beniamino, Ebreo figlio di Ebrei” (Fil 3,5) non nasconde di essere stato “formato alla scuola di Gamaliele nell’osservanza scrupolosa della Legge dei padri” (Atti 22,3).
È proprio dall’Antico Testamento che dobbiamo partire se vogliamo davvero comprendere che cosa l’Apostolo abbia in mente quando parla della speranza che anima la vita del credente.
Per la Bibbia, la speranza scaturisce dalla fiducia in Dio e nell’adempimento delle sue promesse. Attraverso la meditazione delle gesta divine nella storia, il pio israelita matura nella certezza che Dio, come lo è stato nel glorioso passato, così sarà nel presente e anche nel futuro. Solo se riposta in Dio, che non delude, la speranza è solida e certa, vive nell’oggi e guarda all’adempimento escatologico, consapevole che tutto è riposto nelle Sue mani.
Il compimento della speranza
Sebbene nelle lettere paoline siano molteplici le citazioni e le allusioni all’Antico Testamento, in Rm 15,12 abbiamo l’unico caso in cui Paolo cita le Scritture d’Israele a proposito della speranza salvifica. Parlando della destinazione universale del vangelo, per Giudei e Gentili, insieme ad una serie di rimandi veterotestamentari, l’Apostolo cita Is 11,10 secondo la versione greca.
“Spunterà il rampollo di Iesse, colui che sorgerà a governare le nazioni: in lui le nazioni spereranno”.
Tutti i credenti, sia che essi provengano da Israele o dai pagani, pongono la loro speranza messianica nel Cristo, che è il compimento della speranza di tutti.
Facendo eco a questa affermazione, Paolo inserisce un augurio che vogliamo sentire rivolto anche a noi.
“Il Dio della speranza vi riempia, nel credere, di ogni gioia e pace, perché abbondiate nella speranza per la virtù dello Spirito Santo” (Rm 15,13).
In modo del tutto originale e unico nella Scrittura, l’Apostolo parla del “Dio della speranza”. È Lui, il Dio dell’Antico Testamento, il Dio rivelato pienamente da Gesù Cristo che sta all’origine della speranza del credente, l’alimenta e la fonda.
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Don Fabio Villani