Alla fine vince lo stupore del Vangelo secondo Marco 7,31-37
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.
Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano.
Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.
E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Ero seduto per terra, cercavo di fissare lo sguardo sul Buon Pastore che un santo frate, Fra Renè, mi aveva donato durante uno dei periodi più confusi della mia vita. Poi chiudendo gli occhi ed aprendo la Bibbia, mi predisponevo a meditare la Parola per poi eventualmente condividerla quando, all’improvviso, un’ esplosione di domande sincere e brucianti è venuta fuori: tutto ciò che compio perché e per chi lo faccio? Non è che scrivo questo blog solo per me? Per un bisogno narcisista o di riconoscimento? Perché scrivo piccole meditazione sulla Parola? Per portare a qualcuno la Buona Novella sotto forma di chicco di grano o per sentirmi importante, correndo il rischio di strumentalizzare Dio? O per renderla nel linguaggio biblico: tutto ciò è per il Dio del Cielo e della Terra, per utilizzare un appellativo caro agli ebrei, o rendo culto ai tanti, molteplici dispersi idoli: il mio ego? Il successo? Il denaro? Il bisogno di affetto?
Mentre questa serie, oserei dire spietata, di domande mi vorticavano dentro, mi è giunto in soccorso l’incipit del Vangelo di oggi: “In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.”
Questo versetto introduzione, nonostante la sua precisione descrittiva, non giunge a rispondere alle mie domande di prima che forse mi porterò dietro e dentro fino a quando durerà il mio cammino terreno ma ha fatto emergere, o riemergere, una notizia straordinaria: Dio non ha paura dell’impurità, dell’infedeltà. Dio non ha paura di attraversare una “terra pagana” e perciò “idolatra” anzi ci va proprio al “centro” come indica l’espressione “in pieno territorio della Decapoli“. Gesù non ha paura dei miei idoli.
Ciò non vuol dire che entrambi, Dio e gli idoli, possano convivere pacificamente nel mio cuore, infatti o si sceglie uno o si sceglie l’altro, tertium non datur, come insegna tutta la Bibbia e in maniera netta il Vangelo di Luca (16, 13) e Matteo (6, 24) nell’esortare il discepolo a scegliere o Dio o Mammona; ma mi ricorda l’infinita pazienza e misericordia di Dio che pur di venirmi incontro non ha paura di calpestare il suolo pagano del mio cuore e lì compiere le sue opere di salvezza affinché io, pieno di stupore e gratitudine, come i presenti nella scena finale della pericope odierna, non abbia altra scelta di urlare finalmente e gioiosamente “Sei Tu il mio Signore!”
Altri contenuti sulla Parola di Dio sono qui: Lievito nella pasta