Il Rito ambrosiano ha iniziato la scorsa domenica il tempo di avvento e quello romano si appresta alla celebrazione dell’ultima domenica del tempo ordinario, la XXXIV, nella quale si celebra la solennità di Cristo Re dell’Universo, la quale conclude l’anno liturgico e spalanca le porte al tempo d’Avvento. Abbiamo già detto come questo tempo liturgico abbia una diversa scansione nei due riti (QUI), nonché della sua caratterizzazione escatologica e rivelativa del volto di Dio (QUI), ma più di tutto abbiamo sottolineato come l’Arca dell’Alleanza che caratterizza questo tempo sia proprio la Vergine Maria (QUI), icona escatologica della Chiesa, «la creatura – per dirla con le parole del poeta francese Claudel – nel suo primo onore e nel suo sboccio finale, com’è uscita da Dio nel mattino del suo splendore originale» [1].
Nel testo che segue vogliamo sottolineare come il tempo dell’Avvento, caratterizzato dall’essere tempo escatologico, abbia fortemente impressa in sé l’impronta mariana.
Maria ὁδηγήτρια
Alla Madre del Messia ogni cristiano e la Chiesa stessa deve guardare, per comprendere il senso della propria missione nella sua pienezza [2] come la celebra gli Orientali, la Madre di Dio è la ὁδηγήτρια, ovvero colei che indica la via, cioè che guida a Cristo, unico mediatore per incontrare in pienezza il Padre. Nel tempo dell’attesa del Signore che viene, Maria è contemplata come mediatrice tra l’uomo e Dio, strumento per il cui ventre si potette riaccendere quell’amore tra Dio e l’uomo che il peccato primordiale aveva intaccato, come il Sommo Poeta canta nel XXXIII canto del Paradiso: «Nel ventre tuo si raccese l’amore, per lo cui caldo ne l’etterna pace così è germinato questo fiore». La terzina dantesca spiega come nella sua Immacolata Concezione Maria sia il modello perfetto della creatura umana che colmata fin dall’inizio da quella grazia divina che sostiene e trasfigura la creatura, sceglie sempre, nella sua libertà, la via di Dio. Nella sua gloriosa Assunzione al cielo Maria è, invece, l’immagine della creatura chiamata da Cristo risorto a raggiungere, al termine della storia, la pienezza della comunione con Dio nella risurrezione per un’eternità beata. Per la Chiesa che spesso sente il peso della storia e l’assedio del male, la Madre di Cristo è l’emblema luminoso dell’umanità redenta e avvolta dalla grazia che salva. Nella terzina dantesca, dunque si racchiude tutto il senso escatologico della figura della Madonna: concepita Immacolata e assunta in Cielo si fa segno della creatura perfetta nella purezza della vita in Cristo. L’Avvento dice l’attesa della venuta di Cristo nell’ultimo giorno e la Figlia di Sion esprime l’immagine della comunione ecclesiale nella fede, nella carità e nell’unione con Cristo. Eternamente presente nel mistero di Cristo, Ella è, in mezzo agli Apostoli, nel cuore stesso della Chiesa nascente e di tutti i tempi. Non per caso, infatti, la Chiesa fu congregata nella parte alta del cenacolo con Maria. Non si può, dunque, parlare di Chiesa se non vi è presente Maria, la madre del Signore. Per questo la Madonna è posta, nella contemplazione della sua concezione immacolata, nel mezzo del tempo dell’anno liturgico che richiama l’attesa del Signore che viene.
Maria nella Liturgia dell’Avvento
Il fulgore del mistero di Maria nel tempo di Avvento è racchiuso nelle pagine bibliche del Lezionario e nelle orazioni presidenziali del Messale: quest’ultime aprono, accompagnano e chiudono ogni celebrazione eucaristica. Si pensi alla colletta, alla orazione super oblata, oppure all’orazione di ringraziamento; attenzionare questi testi di preghiera costituisce – al dire dei liturgisti – un punto di partenza per una spiritualità mariana che abbia nella preghiera liturgica un suo perno qualificante. L’eucologia mariana occidentale non si può riconoscere solo nei testi della celebrazione eucaristica, ma si prolunga nella Liturgia delle Ore, dove convergono molti elementi. Un posto principale lo hanno i salmi, intercalati da antifone; le letture, intercalate da responsori; gli inni e le preghiere d’intercessione. Questi testi, che ci sono stati consegnati fin dall’antichità, riservano alla Vergine Madre un posto di rilievo. Come tali, possono aiutarci nell’«oggi-e-qui» della liturgia e della storia a pregare, a formulare in modo essenziale la nostra fede, a derivarne motivazioni e indicazioni per la nostra crescita interiore, a disegnare un percorso su cui ordinare la nostra vita. La liturgia dell’Avvento facilita quanto si dovrebbe sperimentare in ogni tempo dell’Anno liturgico: e cioè ispirarsi a Maria quale modello dell’atteggiamento spirituale con cui la Chiesa celebra e vive i divini misteri [3]. L’Avvento, quale celebrazione intensa dell’attesa del Messia e gioiosa scoperta del mistero di Cristo presente in ogni pagina dell’Antico Testamento, diventa perciò memoria della Vergine Madre, i cui tratti si vanno via via precisando attraverso profezie, figure e simboli [4].
Le profezie
Nel tempo di Avvento si proclamano alcune profeziedi grande portata riguardanti la Madre del Messia Salvatore: Genesi 3,15: la prima ‘buona novella’, pronunciata da Dio stesso dopo la funesta disobbedienza dei progenitori: «Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno». Isaia 7,14: la regina delle profezie mariane: sulla vergine che darà alla luce: «I1 Signore stesso vi darà un segno: ecco la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele: Dio-con-noi». Isaia 11,1: vaticinio sulla genealogia davidica del Messia: «In quel giorno, un germoglio spunterà dal tronco di Iesse, un virgulto germoglierà dalle sue radici». Michea 5,1-2: profezia sulla partoriente di Betlemme: «Da te uscirà colui che deve essere il dominatore in Israele; […] Dio li metterà in potere altrui fino a quando colei che deve partorire partorirà» [5].
Le madri
Oltre alle profezie, si presentano nel tempo di Avvento, delle figure di madri che preannunciano la fisionomia spirituale e la funzione di grazia della Madre del Messia. Tra esse la lituriga ci ricorda anzitutto Rut, moabita, pia straniera, antenata di David; la moglie di Manoach, donna sterile che per favore divino divenne madre del giudice Sansone; la mite Anna, moglie sterile di Elkana, donna umiliata, che Dio esaudì nella sua afflizione ed esaltò concedendole di concepire e dare alla luce il profeta Samuele; l’anziana cugina Elisabetta, moglie del sacerdote Zaccaria, sterile anch’essa, a cui il Signore concesse di essere la madre di Giovanni il Precursore. Sono tutte maternità prodigiose; grembi sterili divenuti fecondi per favore divino che, nel disegno salvifico di Dio, prefigurano la maternità ancor più prodigiosa di Maria di Nazaret, Vergine, madre del Salvatore del mondo.
Maria, custode dell’Incarnazione
Il Rito Ambrosiano, celebra, nella sesta domenica di Avvento la Domenica della Divina Maternità di Maria o dell’Incarnazione. Una peculiarità liturgica risalente ad antichi manoscritti. Le prime attestazioni si hanno intorno al 431 e si crede siano direttamente risalenti ai Padri del terzo Concilio ecumenico, quello di Efeso; è la prima celebrazione che non intende celebrare un evento particolare della vita di Maria, ma il grande mistero della sua divina e verginale maternità, mistero che il Rito Romano celebra il primo giorno dell’anno. È significativa la categorizzazione di questa ricorrenza liturgica quale “solennità del Signore” ad indicare che il protagonista è il λόγος eterno che prende la carne nel grembo di Maria, strumento di Dio stesso che a Lui si apre nel «fiat». La sesta domenica dell’Avvento Ambrosiano è quella immediatamente precedente al Natale a sottolineare il legame strettissimo tra la Madre e il Figlio: una Vergine che diviene madre senza perdere la sua purezza e un Dio che diventa uomo senza perdere la sua divinità. Tra i titoli vari che nell’anno liturgico vengono attribuiti alla Madonna e che di Lei sono celebrati, quello della Sua divina maternità è sicuramente il più peculiare. Bisogna anzitutto notare che non si parla di “Madre di Gesù”, ma di “Madre di Dio”; può apparire una differenza minimale, eppure fu sancita per il mezzo di un Concilio, Efeso appunto, il quale proclamò Maria Θεοτόκος, ovvero letteralmente “colei che genera Dio” [6]. Da quando la Madonna ricevette il titolo di “Genitrice di Dio” nel V secolo, la sua venerazione conobbe una crescita costante. Quest’aspetto si riflette anche nel numero pressoché infinito di icone raffiguranti la Madre di Dio, che superano ampiamente quelle che ritraggono il solo Cristo. Comunque, ogni icona della Madre di Dio è a sua volta anche un’immagine di Cristo, in quanto Maria viene raffigurata in maniera quasi esclusiva con il Bambino o come mediatrice di fronte al Figlio [7]. Ancora una volta per comprendere questa celebrazione della Liturgia ambrosiana ci viene in aiuto Dante che pone sulle labbra di San Bernardo di Chiaravalle la sintesi, potremmo così dire, della sesta domenica dell’Avvento ambrosiano: «Vergine Madre, figlia del tuo figlio, umile e alta più che creatura, termine fisso d’etterno consiglio» [8]. La Maternità Divina unisce in modo ineffabile Maria al Padre. Ella, infatti ha per Figlio il Figlio stesso di Dio, imita e riproduce nel tempo la generazione misteriosa con la quale il Padre generò il Figlio nell’eternità, restando così associata al Padre nella sua paternità, per mezzo della sua divina maternità.
[1] P. Claudel, La Vierge à midi, Pléiade, 540.
[2] cfr. Congregazione per la Dottrina della Fede,Libertatis conscientia, 22.3.1986, n. 97.
[3] cfr. Marialis cultus, n.16.
[4] cfr. I. M. CALABUIG, Maria, la Madre di Cristo, nell’Anno liturgico, in M. M. PEDICO (a cura di), Maria di Nazaret itinerario del lieto annuncio, Edizioni Monfortane, Roma 1998, p. 81-89.
[5] Maria Marcellina Pedico, Maria nell’Anno Liturgico e pietà popolare: Avvento, Natale, Quaresima, in AA. VV., La Vergine Maria nel cammino orante della Chiesa, Centro di Cultura Mariana “Madre della Chiesa”, Roma 2002, pp. 2-21.
[6] Si consideri che il Concilio fu convocato per discutere problematiche sorte su questa tematica, non per affermare la verità in sé, già risaputa.
[7] cfr. Eva Haustein-Bartsch, Icone, Taschen, 66.
[8] Par., XXXIII, 1-3.