Amelia è un paese dell’Umbria, in provincia di Terni, al confine con il Lazio. Città dalle imponenti mura e teatro di tanta storia, è proprio da qui che nasce un’altra storia, forse più piccola, forse minore ma non meno bella, quella che ci lega ai The Sun.

Mentre guidavo verso il luogo del nostro incontro ascoltavo i loro brani pieni di gioia, pieni di speranza, pieni di “nuova vita”, pieni di una luce (non a caso il nome del gruppo), di una luce che piano piano illumina le tenebre interiori ed esteriori.

Li avevo ascoltati distrattamente, visto qualche loro foto sui social, conosciuti attraverso il racconto di un’amica monaca benedettina che li aveva incontrati musicalmente e personalmente prima della sua scelta claustrale.

Appena scesi dall’auto mi ha subito stupito il loro contagioso entusiasmo e i loro occhi brillanti, ancora sento dentro la mia anima lo sguardo di Riccardo così rapido ma anche così profondo. Nonostante la stanchezza del viaggio e il sound-check, erano pronti ad ascoltare le nostre domande e stare insieme il tempo necessario per entrare in sintonia dopo un bel bicchiere di acqua fresca visto le temperature augustane.

Come mai The Sun?

La prima domanda non poteva che essere sul nome del gruppo, un nome che negli anni ha subito una metamorfosi, o meglio una metanoia, una conversione: da Sun eats hours, traduzione letterale del “il sole mangia le ore”, un’esortazione della loro terra veneta a non essere pigri, a non poltrire ma a fare e a produrre, al più semplice ed essenziale The Sun. È proprio Riccardo a rispondermi sui motivi di questo cambiamento: “Questo Sole ci illumina, illumina le nostre vite, le nostre scelte, le nostre relazioni e questo Sole è per noi Cristo, la parte più luminosa del nostro vecchio nome”.

Poi è arrivato il secondo momento del nostro dialogo, che potrebbe essere descritto così: da un nome all’altro, infatti dai motivi di questo cambio di denominazione siamo passati al motivo per cui ci siamo incontrati qua, loro dal Veneto e noi dalle Marche, e il motivo è proprio un nome: Marianna.  

Marianna è una ragazza splendida, di cui abbiamo raccontato la storia più di una volta nel nostro blog (qui) e i The Sun sono qui perché le loro strade si sono incrociate grazie alla Fondazione Un Mondo a Colori ETS e, in memoria di Marianna, la sera del 16 Agosto, nella Comunità Incontro di Amelia, hanno tenuto un concerto-testimonianza che ancora mi fa tremare i polsi per l’emozione, per l’umiltà che ognuno di loro ha avuto nel raccontare la propria esperienza, le proprie cadute fino al momento della conversione e tutta la lotta quotidiana per la propria felicità e pienezza.

Ma perché proprio Marianna – mi viene da chiedere loro? Cosa vi ha catturato della sua storia?” Francesco mi sorride e guarda davanti a sé, verso il poster che presenta il concerto e mi fa: “Basta guardarla, basta fermarsi a guardare il suo sguardo. Ti viene voglia di conoscerla e di dirle: Raccontami la tua storia. Oltre alla storia è stata la sua sensibilità, la sua semplicità a colpirci ma non solo, perché sentiamo molto vicina la sua presenza”.

Al di là della tristezza…

Non solo la testimonianza, anche tanti brani cantati a squarciagola dai ragazzi e dalle ragazze presenti al concerto e nel leggere ed ascoltare i loro testi mi è sorta un’altra domanda, quasi istintivamente. Conoscendo il buio che abita il cuore di molti giovani: “Cosa vorresti dire ai molti giovani che fanno fatica a vivere la vita con gioia? Che faticano a guardare al futuro con speranza? ”.

Anche qui è Francesco a prendere la parola e ad allargare il campo della domanda, ricordandomi come ci sia una tendenza sistematica a rendere la tristezza quasi un valore più che un disvalore: “Se è vero che noi siamo profondamente influenzati da ciò che mettiamo nella nostra vita, ciò che leggiamo, ciò che ascoltiamo, si riscontra un fenomeno impensabile fino a qualche decennio fa: la tristezza, la negatività, il no future vengono pubblicizzati. Un esempio è il recente proliferare delle playlist con “musica triste”, trend che non avrebbe mai preso piede circa vent’anni fa. Quindi comprendiamo che il problema non è più solo della persona singola, del singolo ragazzo o ragazza ma qualcosa di sociale, collettivo, quasi sistematico. C’è quasi una tendenza, un tentativo – forse addirittura volontario – di spostare chi ascolta in quella vibes di tristezza, di malinconia.  Come si fa ad uscire da questa realtà che mitizza la tristezza, elogia il no-future? Occorre spostare l’attenzione e illustrare la via d’uscita. È necessario qualcosa di esperienziale per il giovane, affinché provi, sperimenti la gioia, l’entusiasmo, fargli comprendere che la tristezza, nonostante la sua forza, non è un luogo dove stare ma uno spazio da attraversare”.

Non solo canzoni, ma anche viaggi e missioni per i The Sun

Mentre ci avviamo verso la fine, non sazi dei passi fatti, ci mettiamo a parlare di viaggi e di missioni. I The Sun quest’estate hanno lanciato una nuova forma di un’iniziativa ormai decennale, nata nel 2014: Un invito poi un viaggio (https://uninvitopoiunviaggio.it/), l’edizione di quest’estate è scaturita dall’impossibilità di raggiungere la Terra Santa e così è nata l’idea di una settimana di pellegrinaggio verso Santiago di Compostela. È un viaggio ripensato, dove loro hanno messo la loro disponibilità e poi il Signore ha fatto il resto e così mi è venuto spontaneo domandare loro: Quali sono le parole che vi portate dentro dal pellegrinaggio di Santiago?

Riccardo mi racconta: “Il pellegrinaggio è un’esperienza dinamica, non statica, una realtà viva, inizi in un modo e termini in un altro e questa è stata un’esperienza completamente diversa da quelle precedenti, così le parole che mi porto dietro sono: scoperta, silenzio e servizio. È stata una scoperta ma anche una riscoperta, quasi una seconda conversione. C’è stato un prima e poi un dopo, il prima è stato la preghiera, in cui si è creato spazio dentro di me, uno spazio che è divenuto per gli altri, uno spazio che mi ha permesso di ascoltare gli altri, dove accogliere gli altri”. Francesco, invece, mi consegna le sue cinque parole: rinnovamento, fiducia, scoperta, ascolto e nuovo slancio ed aggiunge che è stato un viaggio pieno di spunti inattesi tanto che dal sondaggio finale è stato 100% di: voglio farlo di nuovo.

Dai viaggi alle missioni, da circa due anni, oltre ai tanti progetti che hanno creato ed abbracciato, i The Sun sono anche membri della “Chiesa ti ascolta” e quindi parte dei #missionaridigitali come noi anzi loro sono stati tra i primi a dire sì a questa iniziativa ecclesiale che ha a cuore l’evangelizzazione del “continente digitale”. Nel parlare di ciò mi viene da chiedere loro, quasi a condividere le fatiche della missione: “Come vivete questa responsabilità di evangelizzare nel mondo dei social? E secondo voi quali sono le opportunità che possono scaturire da questa presenza?”

È ancora Francesco a rispondermi sottolineando che da diversi anni usano i social e la comunicazione digitale con una direzione molto chiara, con una linea editoriale molto responsabile perché dall’inizio ci siamo detti: il bene va comunicato bene. “Siamo una band ma che sente su di sé la responsabilità, la missione di far conoscere a chi ci ascolta, a chi ci legge, una bellezza non sempre così visibile, delle realtà a volte poco conosciute, ci sentiamo chiamati a far riflettere le persone, a far comprendere che c’è un mondo altro ma anche un modo altro per usare i social. Questa scelta è stata molto apprezzata dalla community che è cresciuta con noi, una fan-base che è stata educata e che quindi risponde alle nostre proposte e ci permette di camminare insieme, come una piccola Chiesa. Il virtuale, usato bene e con consapevolezza, fa arrivare al reale”.

Paride

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