Entrarvi con una poesia di Mario Luzi
Siamo entrati da qualche ora nella Grande Settimana. La Liturgia ci prende per mano e ci conduce passo dopo passo a seguire ultimi passi terreni di Gesù. L’orologio liturgico e della preghiera quasi si sintonizza, ora per ora, minuto per minuto, sul cuore di Gesù e sulle sue ore, quasi in un dilatarsi a dismisura di quei momenti decisivi della parabola umana di Gesù e della storia tutta. Da ora e fino a domenica prossima quasi si dilata il tempo per entrare in quel tempo, ultimo e decisivo, di Gesù, che nel Vangelo di Giovanni occupa quasi metà del libro, dai capitoli 13 a 20. Dilatazioni che la letteratura, la musica, il canto, l’arte ha a sua volta dilatato e fissato nelle sue forme.
Intensificarsi dei sensi
Oltre a un dilatarsi del tempo, sperimentiamo un intensificarsi dei sensi. Siamo portati a un’esperienza profonda di incarnazione e umanità. Da oggi e fino a domenica, ci faranno compagnia i profumi, i colori, le parole, i segni, i sapori. Dal verde e giallo dei rami di ulivo e palme, ruvidi al tatto, ai profumi di Betania. Dal contatto del cuore a cuore del discepolo amato al nero profondo della notte, che inghiotte Giuda e rivela l’inconsistenza di Pietro, tra il canto di un gallo e un tintinnio argenteo di trenta monete. E ancora l’olio e il profumo di nardo, il bianco sfolgorante di centinaia di preti della Messa Crismale e poi, alla sera, l’acqua e l’odore dei piedi, la carezza di un grembiule, la fragranza del pane e il vino intenso, tra nuvole di incenso, fiori variopinti e le luci soffuse della compagnia al Signore nell’ultima notte.
Con tutti i sensi protesi al Mistero
E poi il buio del Gethsemani, il freddo della notte, le lampade, le lame e i ferrei colpi. Il vociare sguaiato di soldati, schiaffi, bestemmie presunte e false testimonianze, sputi, domande, domande, domande… lo svegliarsi dell’aurora, la paura della contaminazione, il modulo della voce di Pilato che cambia tra la paura e ancora una volta un catino di acqua… e poi i colpi, la pelle che si squarcia, l’odore e il sapore ferreo del sangue, la canna, la veste rossa… il peso del legno, la ruvidezza del legno, la ferita del legno, la polvere, i sassi, il sangue, le spine, la donna che asciuga, le donne che piangono, il calore di un cireneo, i chiodi, l’aceto, il grido, il buio alle tre del pomeriggio… e la croce velata e svelata, che sovrasta tutti nel silenzio e nel freddo delle nostre assemblee…
La rigidità della morte, il suo freddo, i lini che si tingono di rosso, gli unguenti mancanti, il freddo della pietra, il buio, il silenzio… un silenzio dilatato, lungo un giorno…E poi di nuovo il buio, il fuoco che si accende, il cero che si accende, le candele che si accendano… il buio fecondato dalla luce, la veglia, la lotta col sonno mentre si sgrana il miracolo della notte della creazione, la notte della legatura di Isacco, la notte del Mar Rosso, con i loro colori, i loro suoni, le loro sensazioni tattili… I colori di Gerusalemme, dalla tenda dilatata, della profezia di Isaia; l’acqua viva, il latte e l’olio, la pioggia fecondatrice di Isaia 55; la gioia delle stelle di Baruc nel canto della Sapienza, il cuore di carne, vivo, rosso, che soppianta quello di pietra, nella profezia di Ezechiele…
L’ultimo passo
E poi l’ultimo passo, l’ingresso nella morte e nella tomba, grazie alle parole di Paolo, e nel liberatorio canto del Gloria e dell’Alleluia, la scoperta del vuoto del sepolcro, mentre si riaccendono le luci e arriva l’acqua e la vita riprende, si rimangia il pane, si sperimenta la gioia e la sensazione di una dilatazione di umanità, di essere andati fino in fondo nel mistero dell’Incarnazione e dell’essere uomini, spalancato per sempre dalla Pasqua.
Francesco Pacia
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