Nella vita di ognuno si possono contare moltissimi incontri e avvenimenti, alcuni sono importanti, altri addirittura decisivi. Questi ultimi, nel momento in cui avvengono, spesso non sono percepiti come tali. Ci appaiono normali. Ordinari. Forse addirittura banali. Solo più tardi, rileggendoli alla luce dell’esperienza o di un’acquisita maturità, ci rendiamo conto della loro portata e di quanto abbiano segnato la nostra esistenza. Così deve essere successo anche ad Anania che ebbe il privilegio di battezzare Saulo di Tarso. Di lui abbiamo poche e incerte informazioni. Secondo alcune tradizioni sarebbe stato uno dei 72 discepoli inviati da Gesù, poi primo vescovo di Damasco ed evangelizzatore di Eleutheropolis, città nella quale avrebbe patito il martirio.
Senza addentrarci in ipotesi storiche più o meno fondate, restiamo alle notizie che di lui ci forniscono gli Atti degli Apostoli. Nel capitolo ventiduesimo (vv. 12-16) è Paolo a parlare di Anania, durante il suo discorso al popolo di Gerusalemme aizzato contro di lui dai giudei della provincia d’Asia. L’apostolo, ripercorrendo le tappe della sua conversione, ricorda: «Un certo Anania, devoto osservante della Legge e stimato da tutti i Giudei là residenti, venne da me, mi si accostò e disse: “Saulo, fratello, torna a vedere!” E in quell’istante lo vidi».
Riporta anche alcune delle parole rivoltegli da Anania: «Il Dio dei nostri padri ti ha predestinato a conoscere la sua volontà, a vedere il Giusto e ad ascoltare una parola dalla sua stessa bocca, perché gli sarai testimone davanti a tutti gli uomini delle cose che hai visto e udito. E ora, perché aspetti? Alzati, fatti battezzare e purificare dai tuoi peccati, invocando il suo nome».
L’episodio è descritto in modo più ampio nel capitolo 9 (vv. 10-19) che inizia con una visione di Anania cui segue un botta e risposta.
«C’era a Damasco – leggiamo negli Atti – un discepolo di nome Anania. Il Signore in una visione gli disse: “Anania!” Rispose: “Eccomi, Signore! E il Signore a lui: “Su, va’ nella strada chiamata Diritta e cerca nella casa di Giuda un tale che ha nome Saulo, di Tarso; ecco, sta pregando e ha visto in visione un uomo, di nome Anania, venire a imporgli le mani perché recuperasse la vista».
Paolo, infatti, dopo il suo incontro-scontro con Gesù, era diventato cieco. Quindi arriva a Damasco, dove era diretto per arrestare i seguaci del Nazareno, in condizioni di salute precarie e con una pessima reputazione. Di qui la comprensibile resistenza di Anania alle parole di Gesù. Il dialogo sembra riproporre lo stile di quelli dell’Antico Testamento dove patriarchi e profeti non temono di sollevare obiezioni alle richieste di Dio.
«Rispose Anania: “Signore, riguardo a quest’uomo ho udito da molti quanto male ha fatto ai tuoi fedeli a Gerusalemme. Inoltre, qui egli ha l’autorizzazione dei capi dei sacerdoti di arrestare tutti quelli che invocano il tuo nome”. Ma il Signore gli disse: “Va’, perché egli è lo strumento che ho scelto per me, affinché porti il mio nome dinanzi alle nazioni, ai re e ai figli d’Israele; e io gli mostrerò quanto dovrà soffrire per il mio nome”».
È curiosa questa conclusione. Pare quasi che Cristo voglia assicurare ad Anania che Paolo pagherà caro il suo passato da persecutore. Il male fatto agli altri ricade e inquina innanzitutto chi lo compie. E anche la fedeltà e l’annuncio del Vangelo non sono una gita fuori porta con cocomero e lasagne nel cestino. Chi decide di seguire Gesù deve mettere in conto una scarsa popolarità, l’esclusione, nonché una certa dose di fatiche e scomodità. Come minimo.
Anania questa cosa la capisce, la interiorizza e obbedisce: «andò, entrò nella casa, gli impose le mani e disse: “Saulo, fratello, mi ha mandato a te il Signore, quel Gesù che ti è apparso sulla strada che percorrevi, perché tu riacquisti la vista e sia colmato di Spirito Santo”. E subito gli caddero dagli occhi come delle squame e recuperò la vista. Si alzò e venne battezzato, poi prese cibo e le forze gli ritornarono».
A questo punto di Anania si perdono le tracce. Come di molti altri personaggi del Nuovo Testamento. Ha fatto la sua parte – e che parte! – e ora può proseguire il suo cammino, lontano dai riflettori. Dalle parole di Paolo emerge la sua stima per quest’uomo che si pone in continuità tra l’antica e la nuova alleanza. Agisce come un antico profeta e come un vero discepolo di Gesù al tempo stesso.
Proviamo anche noi a ripercorrere gli anni della nostra vita per individuare le occasioni in cui abbiamo incontrato Gesù in un modo particolare.
Come abbiamo risposto alla sua chiamata?
Come è cambiata, da quel giorno, la nostra vita?
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Patrizio Righero