“Siamo chiamati anche questa domenica a rimanere in lui. Si precisano i termini di questo rimanere. È un rimanere nel suo amore, che a monte ha il suo averci amati e ancor prima il suo essere amato dal Padre. Si rimane solo dove si ama.” Leggiamo il Vangelo di questa domenica insieme a Francesco Pacia.
VI Domenica di Pasqua 5 maggio
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Non vi chiamo più servi, perché il servo non sa quello che fa il suo padrone; ma vi ho chiamato amici, perché tutto ciò che ho udito dal Padre mio l’ho fatto conoscere a voi. Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate e portiate frutto e il vostro frutto rimanga; perché tutto quello che chiederete al Padre nel mio nome, ve lo conceda. Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri». (Gv 15, 9-17)
Rimanere in lui
Siamo chiamati anche questa domenica a rimanere in lui. Si precisano i termini di questo rimanere. È un rimanere nel suo amore, che a monte ha il suo averci amati e ancor prima il suo essere amato dal Padre. Si rimane solo dove si ama. Si rimane solo dove si è amati. Non perché bello o facile, ma perché l’essere stati amati profondamente e aver amato profondamente lascia un segno che non si cancella.
Anzi, Gesù ci dice che questo amore è un comandamento. Il suo, ricevuto dal Padre. Il suo, dato a noi. Il comandamento di chi ha dato tutto e non ha più nulla da perdere. Il comandamento che ci chiede non sentimentalismi o parole vuote, ma di replicare nella nostra vita, nella nostra storia, nel nostro corpo il suo amore fino alla fine. Non ci viene chiesta un’etica eroica o un’estetica della resistenza, ma una conformazione, un amore come il suo, ma con i tratti nostri, un amore segnato dalla promessa di ulteriorità e resurrezione che è solo dell’amore che ha vinto la morte. Ci è chiesto di replicare la storia di Gesù, il suo farsi prossimo, il suo farsi pane spezzato per la fame di senso e di cibo dell’altro, il suo guardare in profondità e chiamare a libertà. Ci è chiesto di camminare per le Galilee e le Samarie che incontriamo per essere buona novella, consolazione, olio che risana e rincuora, vino che dà gioia. Perché è la gioia piena ciò a cui siamo chiamati, è la gioia ciò che lui vuole donarci. Una gioia piena, che rimane e non sbiadisce.
Rimanere: con l’amico che ci ama
È la gioia dell’amore, la gioia del discepolo che è chiamato amico, la gioia di chi è con e come lui, perché la sua gioia e la sua vita è l’unica che soddisfa, perché non è preservazione del privilegio esclusivo, custodito gelosamente con la bramosia che devasta e distrugge Smeagol-Gollum ne Il Signore degli Anelli facendo morire prima di sé e al posto suo molti amici, ma dono libero, che riempie di senso e infrange le leggi della mortalità e del limite, come la croce insegna e come accade ad Aslan ne Le cronache di Narnia, figura proprio di Cristo, che sceglie di morire innocente al posto del traditore Edmund e così ritorna alla vita e riconcilia a sé il ragazzo, chiamandolo ancora amico.
Siamo stati fatti amici suoi. Non servi, non inferiori. Ma pari, amici amati. Introdotti nel cuore di quella relazione unica che è la sua relazione filiale con il Padre. Innestati in quell’amore. Scelti per un di più, per il magis dell’amore pasquale, delle scelte coraggiose, dei frutti impensati. E tutto questo senza merito, senza avere titoli, prima di essere perfetti, anzi proprio perché non lo siamo. Amici, non in nome di un sentimento, ma nella conoscenza di lui e del Padre. Conoscenza che è accogliere la sua Parola, passare dalla morte dell’alienazione del vivere solo per sé alla vita dell’essere capaci di fare, di amare come lui ha fatto e amato.
Come lui e con lui
Come lui e con lui. È questo ciò che ci fa veramente cristiani. Amici scelti e non proposti da sé. Scelti, per replicare la vita di Gesù, il suo essere Figlio che è mandato dal Padre. Siamo scelti per essere mandati e a portare il suo amore e la sua vita e far fiorire il suo frutto, che, fuor di metafora, significa amare l’altro e portarlo alla pienezza della vita. E questo ovunque: a casa e a due passi da lì, come fino agli estremi confini della terra. Con il proprio essere, con il proprio esserci. Tramite il lavoro o lo studio. Attraverso le proprie relazioni, nelle scelte che ci plasmano, quando è facile e quando costa. Attraverso la propria vocazione.
Amici, infine, vuol dire essere liberi. Anche di poter andare, benché da soli non possiamo far nulla. Ma, soprattutto, liberi di rimanere, di trovare posto e casa in quel rimanere dinamico, che ci intreccia in Lui gli uni alla vita degli altri: in fondo, è il nostro desiderio più grande, il nostro desiderio più autentico!
*Il testo è apparso su Kairós. Comunità vocazionale Diocesi di Nola, Anno II, n° 2 – 28 marzo 2024, p. 16.
Francesco Pacia
Clicca qui per leggere il commento al Vangelo della scorsa domenica: https://www.legraindeble.it/innesto-vitale/