Sempre in viaggio. Oggi è la normalità per molti. Si viaggia per lavoro, per studio, per turismo. I mezzi di cui disponiamo sono molteplici e, disguidi e traffico a parte, ci si può muovere anche con una certa sicurezza e comodità. Nel I secolo gli spostamenti erano sicuramente più impegnativi e più rischiosi. Eppure c’era chi, come san Barnaba, non stava a misurare la fatica e i disagi. E si muoveva non per lavoro, per studio o per turismo, ma per annunciare il Vangelo.
Questo personaggio lo incontriamo a più riprese nella prima metà degli Atti degli apostoli. La sua presentazione la troviamo nel capitolo quarto (36-37). Viene portato come esempio di una buona prassi in uso nella comunità di Gerusalemme.
«Giuseppe, soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa “figlio dell’esortazione”, un levita originario di Cipro, padrone di un campo, lo vendette e ne consegnò il ricavato deponendolo ai piedi degli apostoli».
Queste poche righe inquadrano bene il personaggio che proviene dal mondo greco, mostra già una forte appartenenza alla comunità cristiana e riconosce l’autorità degli apostoli con un gesto di generosità. La stima è certamente ricambiata. Lo ritroviamo, infatti, al capitolo 9, quale garante della buona fede di Paolo che aveva lasciato Gerusalemme nelle vesti di feroce persecutore e che ora vi fa ritorno come fervente predicatore di Gesù.
«Paolo, venuto a Gerusalemme, cercava di unirsi ai discepoli, ma tutti avevano paura di lui, non credendo che fosse un discepolo. Allora Barnaba lo prese con sé, lo condusse dagli apostoli e raccontò loro come, durante il viaggio, aveva visto il Signore che gli aveva parlato e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesù. Così egli poté stare con loro e andava e veniva in Gerusalemme, predicando apertamente nel nome del Signore».
(At 9,26-28)
A Barnaba vengono affidati incarichi ufficiali: «Questa notizia (la conversione di alcuni greci) giunse agli orecchi della Chiesa di Gerusalemme, e mandarono Barnaba ad Antiòchia» (At 11,22). In questa circostanza si specifica che era un «uomo virtuoso […] pieno di Spirito Santo e di fede».
Il suo legame con Paolo è destinato a rinsaldarsi.
«Barnaba poi partì alla volta di Tarso per cercare Saulo: lo trovò e lo condusse ad Antiòchia. Rimasero insieme un anno intero in quella Chiesa e istruirono molta gente» (At 11,25-26).
È lo Spirito Santo stesso a sceglierli per una missione comune: «Mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunando, lo Spirito Santo disse: «Riservate per me Barnaba e Saulo per l’opera alla quale li ho chiamati. […] Essi dunque, inviati dallo Spirito Santo, scesero a Selèucia e di qui salparono per Cipro. Giunti a Salamina, cominciarono ad annunciare la parola di Dio nelle sinagoghe dei Giudei».
L’autore degli Atti, nel capitolo seguente, nomina sempre prima Barnaba che Paolo, e lo chiama “apostolo”. Il feeling tra i due, però, a un certo punto si incrina.
«Paolo disse a Barnaba: “Ritorniamo a far visita ai fratelli in tutte le città nelle quali abbiamo annunciato la parola del Signore, per vedere come stanno. Barnaba voleva prendere con loro anche Giovanni, detto Marco (nella lettera ai Colossesi, si dice Barnaba è “cugino di Marco”, n.d.r.), ma Paolo riteneva che non si dovesse prendere uno che si era allontanato da loro, in Panfìlia, e non aveva voluto partecipare alla loro opera. Il dissenso fu tale che si separarono l’uno dall’altro. Barnaba, prendendo con sé Marco, s’imbarcò per Cipro. Paolo invece scelse Sila e partì, affidato dai fratelli alla grazia del Signore».
(At 15,38-40)
In seguito a questa separazione, l’autore degli Atti seguirà il percorso del solo Paolo, con il quale molto probabilmente ha condiviso diverse esperienze di evangelizzazione.
Fonti diverse da quelle neotestamentarie ci dicono che Barnaba si recò a Roma, insieme a Pietro, per poi salire fino Milano dove è considerato il primo vescovo della città.
Questo episodio ci racconta di un conflitto all’interno della chiesa nascente. Non ci sono in gioco questioni teologiche, ma di opportunità e di relazioni interpersonali. Situazioni che sono proseguite nel corso della storia e che si verificano a tutt’oggi anche nelle più piccole comunità. Così troviamo catechisti che non vanno d’accordo con gli animatori, animatori che non vanno d’accordo con chi si occupa di liturgia, chi si occupa di liturgia che non va d’accordo con i volontari della Caritas, volontari della Caritas che non vanno d’accordo tra loro e il parroco che non va d’accordo con nessuno! Cose così. Qui si esagera, ma solo per rendere l’idea di questi piccoli e grandi attriti che a volte ci scoraggiano e raffreddano l’entusiasmo dell’evangelizzazione.
La vicenda di Paolo e Barnaba ci dice che talvolta alcune separazioni sono necessarie e possono portare buoni frutti, con modalità e sensibilità diverse, purché si resti nell’ascolto e nell’obbedienza allo Spirito Santo.
Proviamo a rileggere in questa prospettiva le dinamiche che caratterizzano le nostre comunità.
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Patrizio Righero