Il Vangelo annunciato e accolto nella “debolezza”
Facendo memoria dell’evangelizzazione nel territorio della Galazia, Paolo afferma che esso avvenne in un contesto di forte debolezza: “Sapete che durante una malattia del corpo vi annunciai il Vangelo…” (Gal 4,13).
Si tratta di debolezza fisica, certo, ma sorprende come spesso l’Apostolo insista sulle proprie debolezze nel contesto della sua missione di evangelizzatore. Egli è consapevole di offrire il vangelo in modo gratuito, rinunciando alle prerogative che gli spetterebbero come apostolo e scegliendo di lavorare con le proprie mani (cf. 1Cor 9,12-14). Ogni vanto è escluso, se non quello che deriva dalle sue debolezze (cf. 2Cor 12,5); qualsiasi tipo di ricchezza umana, come una ricompensa in denaro, la ricerca della “sapienza della parola” (cf 1Cor 1,17) o l’affanno per ottenere compiacimento e approvazione degli uomini, sarebbe estraneo alla logica stessa del vangelo che è un dono e ne squalificherebbe l’annuncio e l’accoglienza.
In altre parole, Paolo sembra dirci – proprio a partire da quanto è accaduto in lui – che l’evangelizzatore deve presentarsi a mani vuote, nella sua debolezza e povertà materiale e spirituale, perché risulti chiaro che il Vangelo ha in se stesso una forza capace di dare vita e speranza. A chi lo annuncia è chiesto di essere disponibile, semplice, libero… servo. Annunciato nella debolezza, il Vangelo deve essere accolto allo stesso modo, con la disponibilità ad aprire il nostro vuoto al Signore perché esso lo riempia con la potenza della sua presenza.
Don Fabio Villani
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