Questo articolo ci aiuterà a rispondere ad una domanda importante: la liturgia è un itinerario verso Dio?
Il tesoro della presenza reale di Cristo Signore all’interno del rito è, senza ombra di dubbio, quanto la Chiesa deve più gelosamente custodire facendo in modo che tutto, nel rito stesso, concorra a mettere in rilievo il primo mistero della salvezza che viene celebrato. Da ciò deriva l’originalità stessa del Cristianesimo, che in senso proprio più che una religione può essere definita una fede. Questa distinzione è fondamentale; la religione è il costrutto dell’uomo attorno alla fede che è unicamente iniziativa di Dio. Il Cristianesimo è proprio questo: l’iniziativa di un Dio che si fa prossimo all’uomo al punto di incarnarsi; il Cristianesimo non è una religione, ma fede nel Dio vivente, la cui presenza è viva e reale nel rito celebrato. Il dinamismo dell’evento cristiano non procede dall’uomo per approdare a Dio, come culmine della ricerca, ma procede da Dio che si pone alla ricerca dell’uomo, lo viene a visitare, rivelandogli il mistero della sua vita intima. In questo senso l’evento dell’Incarnazione è del tutto chiarificatore di quanto appena affermato. Gesù Cristo è il Figlio di Dio incarnato per noi, dono di salvezza per un’umanità altrimenti incapace, non solo di raggiungere con le proprie forze l’autentico Volto del divino, ma anche di scoprire in pienezza il senso della propria esistenza.
Azione sacra per la santificazione degli uomini
A motivo di quanto detto, quando si parla della vita cristiana se ne deve parlare sempre come di una chiamata dall’Alto che precede e rende possibile la risposta, se ne deve parlare riferendosi imprescindibilmente ad una grazia che fonda una responsabilità, di un dono inatteso che suscita corrispondenza. Nel cristianesimo il primato è sempre di Dio ed è a questo primato che è necessario rifarsi anche quando si entra nel grande tema della vita liturgica della Chiesa. Quest’ultimo ambito, infatti, porta in sé in maniera evidentissima il segno della precedenza del Signore su qualsivoglia attività umana. Non è pensabile una vita liturgica che non abbia come primo protagonista il Signore, nell’esercizio della sua funzione sacerdotale. “Giustamente perciò la liturgia è considerata come l’esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo. In essa, la santificazione dell’uomo è significata per mezzo di segni sensibili e realizzata in modo proprio a ciascuno di essi; in essa il culto pubblico integrale è esercitato dal corpo mistico di Gesù Cristo, cioè dal capo e dalle sue membra. Perciò ogni celebrazione liturgica, in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo, che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne eguaglia l’efficacia allo stesso titolo e allo stesso grado” [1]. Del Concilio due sembrano essere i concetti fondamentali (relativamente al testo citato): da una parte la santificazione dell’uomo e dall’altra l’azione sacra per eccellenza. L’anima umana (l’uomo), è chiamata a compiere un itinerario verso Dio, a realizzare, quindi, la propria santificazione. Questa è l’opera prima e decisiva della sua vita, il suo dovere primario, per dirla con l’espressione del Pastore Angelico [2]. Ma un tale compito è realizzabile a partire da quell’azione sacra per eccellenza che è la liturgia: sacra perché azione di Cristo e del suo corpo che è la Chiesa; perché esercizio della funzione sacerdotale di Gesù Cristo e resa tale dalla potenza dello Spirito Santo.
In luogo di quanto detto, pacificamente si può affermare che esiste un legame essenziale tra la liturgia e la vita perfetta nella carità, il mistero di Cristo e l’itinerario dell’uomo verso Dio, tra il sacro e il santo nell’esperienza della fede. Se nessun’altra azione della Chiesa eguaglia l’efficacia della liturgia, vuol dire proprio che la possibilità di parlare adeguatamente di un itinerario spirituale verso Dio esiste anzitutto a partire da quell’azione sacra per eccellenza che è la celebrazione liturgica.
Ma cosa vogliamo intendere quando diciamo che la liturgia gode della sacralità, che ha un suo spazio privilegiato nel sacro? Se abbiamo affermato che la liturgia è il luogo della presenza reale del Signore nell’esercizio della sua funzione sacerdotale, allora più facilmente comprenderemo che nella liturgia non va tanto ricercato cosa sia il sacro, ma piuttosto chi sia il sacro. Cristo presente vivo e vero. Il Dottore Angelico afferma “Sacrum absolute, ipse Christus” [3], a dire che il sacro nella liturgia viene espresso da segni efficaci ed educativi, per opera dello Spirito Santo. Tali segni rituali dicono all’uomo una verità fondamentale: nessuno si “autosalva”, ma tutti siamo salvati: la salvezza non è endogena, ma dono di grazia. Solo nel mistero di cristo, accolto e partecipato, si può accedere alla redenzione.
La liturgia è azione di Dio, che coinvolge l’uomo per mezzo di Cristo, per l’azione dello Spirito Santo [4]; questo significa l’azione concreta, reale, presente di Dio nella liturgia. A questa azione l’uomo può prendere e deve prendere parte, ma lo può fare solo per mezzo di Cristo e solo con l’azione dello Spirito Santo.
Ecco dunque che la domanda iniziale trova risposta: la liturgia possiede una sacralità oggettiva, una santità soggettiva, nel senso che riguarda un Soggetto e non un oggetto, a cui l’uomo può prendere parte, da cui può attingere per rinvigorire il cammino della propria santità. È lo specifico dello spazio sacro della liturgia.
Il ruolo della Scrittura nella liturgia
Abbiamo detto che la liturgia è l’itinerario che accompagna l’uomo a Dio; questo itinerario è formato da specifiche tappe che ci suggerisce la Messa stessa. Tali tappe ci esplicitano la meraviglia dell’esperienza del sacro liturgico, ovvero l’esperienza della presenza operante di Cristo Signore che si incontra nell’azione liturgica.
La prima tappa dell’itinerario è la Parola, liturgia della Parola e dunque la Scrittura. Sacrosanctum Concilium al n. 7 dice che Cristo stesso “è presente nella sua parola, giacché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la sacra Scrittura”. Ora, indubbiamente si potrà obiettare che vi sono anche altre modalità o altri luoghi in cui poter ascoltare il Signore che parla e si fa presente nella sua Parola, tuttavia – come Guido Marini osserva – il luogo della liturgia è luogo privilegiato in cui il Verbo si accompagna in modo del tutto particolare all’azione dello Spirito Santo, che la rende operante nel cuore dei fedeli. La Scrittura, proclamata dalla Chiesa nel culto liturgico, è la Parola viva e attuale di Dio, così che si rende possibile un rapporto personale tra Dio e l’uomo nella successione del tempo [5]. Una seconda obiezione potrebbe essere quella circa la presenza di Dio. La Chiesa ci dice che Dio è onnipresente, ma in questa sede si afferma che Dio è presente in modo privilegiato nella liturgia. Questo forse stride? Risponde Ambrogio, quando commentando Genesi 1, afferma “Che significa che Dio passeggiava nel paradiso, dal momento che egli è sempre in ogni luogo? Penso voglia dire questo: Dio passeggia attraverso i vari testi delle divine Scritture nelle quali è sempre presente” [6]. È proprio questa l’esperienza sempre nuova che si dischiude davanti all’anima che ascolta la Parola del Signore, nella Chiesa riunita in preghiera, nell’esperienza di Cristo che è la liturgia.
La Scrittura ha una imprescindibile esigenza: essere sempre accolta con lo stupore della fede. Quella fede che sa riconoscere qui e ora la voce del suo Signore che parla al suo popolo, che si rivolge a ciascuno in modo personale e unico. È proprio Cristo che parla alla comunità radunata, come quel giorno nella sinagoga di Nazaret, quando tutti gli occhi rimasero puntati su di Lui. La voce umana che risuona nel luogo sacro è solo un segno che rimanda alla voce stessa di Cristo che risuona oggi, nel tempo della nostra vita. Così, per il tramite della liturgia, l’anima apprende per esperienza diretta che cosa significa ascoltare e accogliere la Parola di Dio, non come parola di uomini, ma quale è veramente: Parola di Dio che mette a giudizio ogni altra parola che proviene dal mondo. Tale predisposizione, poi, dà luogo ad una condizione assolutamente unica: la liturgia sottrae la Scrittura all’impressione soggettiva e transitoria dell’uomo. La consegna all’orecchio della fede che la accoglie senza soggettivizzare, ma solo facendola aderire alla propria vita, incarnandola nel proprio quotidiano. Il primato non è dato alla disposizione interiore individuale, ma a ciò che nell’oggi dell’atto liturgico il Signore desidera dire al suo popolo, educandolo alla vita evangelica. Quando partecipiamo a una celebrazione liturgica, noi entriamo con un particolare stato d’animo e accompagnati dalle molteplici esperienze di vita che hanno caratterizzato una singola giornata o un particolare periodo. È quasi naturale, in quel contesto, avvertire l’esigenza di una Parola che venga a illuminare ciò che stiamo vivendo. E, fosse per noi, probabilmente andremmo alla ricerca di un passo della Scrittura il più possibile confacente, in quel momento, alle nostre aspettative spirituali. Tutto ciò con la liturgia non avviene: il qualunque situazione personale ci veniamo a trovare, la Parola del Signore ci è donata in qualche modo a prescindere da noi stessi. Anzi, siamo invitati a uscire dai noi stessi e dal nostro piccolo mondo per entrare nei più ampi spazi della volontà di Dio che, in quella Parola ascoltata nella Chiesa, raggiunge l’uomo come dono inatteso e norma di vita. La grazia della parola accolta nell’atto liturgico consta nel rimanere coinvolti in un disegno più grande di noi. La grazia di imparare l’ascolto vero, capace di mettere da parte le personali priorità rendendosi disponibili alle priorità di Dio. La grazia di essere educati a fare della propria vita un atto di obbedienza, nella fede, alla volontà di Dio. Si tratta, in altre parole, di aprirsi alla potenza benefica della Verità, che non è soggetta a ciò che è transitorio, emotivo, opinabile. Solo così l’anima diverrà capace di prolungare l’ascolto autentico di Dio che le parla anche al di là dell’esperienza liturgica: nella relazione personale con il testo sacro, a contatto con i diversi accadimenti della vita e della storia, ricercando il senso dei movimenti del cuore e nell’impegno ad autenticare le ispirazioni interiori.
Infine è bene anche aggiungere che, nella celebrazione liturgica, non è l’uomo a piegare a sé il Signore, ma è il Signore a condurre l’uomo nella propria intimità. La Chiesa, quale soggetto vivente, nella sua liturgia ascolta e interpreta la Parola che Dio le rivolge. E ciascuno è chiamato a entrare nello stesso ascolto e nella stessa interpretazione, rinunciando a una manipolazione che condurrebbe non all’ascolto di Dio, ma di sé stessi. Una tentazione ricorrente nell’esperienza della fede è quella di ridurre la Parola del Signore alla propria misura, oltreché di alterare la voce di Dio, fino a scambiare l’una per l’altra. Così può capitare che quella fede, scaturita da un ascolto viziato in radice, assuma una forma non vera, non autenticamente ecclesiale, non in sintonia con il progetto di Dio. La liturgia della Chiesa, invece, garantisce la Parola di Dio da riduzioni arbitrarie, da interpretazioni erronee, porgendola nella sua integralità e verità, così che tutto il mistero di Cristo lì contenuto possa essere ascoltato e divenire principio di un nuovo modo di pensare e di vivere. Solo così l’anima cristiana acquista progressivamente il pensiero stesso di Cristo, rivive i suoi sentimenti, diviene capace di uno sguardo su di sé e sul mondo che è proprio lo sguardo della fede della Chiesa. È proprio questo sguardo della fede comune che la liturgia è capace di custodire con cura.
Prof. Cristian Lanni
[1] Sacrosanctum Concilium, n.7.
[2] cfr. Pius, PP. XII, Mediator Dei, n.11.
[3] Summa Theologiae III, 73, 1, 3m.
[4] cfr. Benedictus PP, XVI, Sacramentum Caritatis, n.37.
[5] cfr. G. Marini, 43° Congresso Internazionale dell’Associazione “Sanctus Benedictus Patronus Europae”, Roma, 25 novembre 2011.
[6] De Paradiso, 14,18.
L’altra parte di questo articolo la trovate qui: Abc liturgico