La riforma liturgica del Concilio Vaticano II: una proposta per continuarla è un approfondimento del prof. Lanni Cristian su una riforma epocale della Storia della Chiesa. Altri suoi articoli sulla Liturgia sono presenti nella nostra rubrica: ABC Liturgico.
Nel precedente articolo abbiamo sottolineato in particolare come la volontà dei Padri conciliari relativamente al Concilio sia stata disattesa. A questo punto, dopo una breve disamina del Messale riformato nel contesto della riforma, si propone una possibile soluzione all’annosa questione del dibattito sulla Liturgia.
Il Messale di Paolo VI nel contesto della riforma
La pubblicazione del Messale nel 1970 fu sicuramente un grande evento, sebbene comportasse, dopo un’iniziale fase di transizione semestrale, la proibizione dell’uso del precedente messale poco prima “aggiornato” da Giovanni XXIII. Questo elemento potrebbe far pensare alla riforma come ad un atto giuridico impositivo del Supremo Legislatore, ovvero un decreto impositivo del Pontefice che “spazza via”, cancellando tutto il pregresso. Tuttavia, questa tesi è immediatamente smontata dalla considerazione che nella misura in cui tutti noi fedeli viviamo e agiamo secondo le motivazioni dell’unità della fede e dell’unicità del mistero, possiamo pacificamente affermare che la presenza dell’antica liturgia, non disturba o rompe l’unità, ma è semmai un dono destinato a costruire il corpo di Cristo, di cui siamo le membra vive. È questa l’ottica in cui si inserisce la riforma: una dinamica di fede e tradizione che adatta, mantenendo immutati i principi, l’azione della Chiesa ai tempi correnti [5]. Nota bene questo, l’allora Cardinale Joseph Ratzinger, quando nel 1998, in occasione del decimo anniversario di fondazione della Commissione Ecclesia Dei, parlava del vero spirito del Concilio: non abolire i testi antichi, ma revisionarli, stabilendo a tal fine alcune regole. Dunque, sembra chiara la vera problematica: il nuovo Messale è stato ed è inteso come una autorizzazione, una richiesta di essere creativi in campo liturgico; tutto questo ha condotto ad una distorsione e ad abusi al limite del sopportabile. E, tornando a quanto prima detto, spostando il concetto dal piano teologico a quello giuridico, vedremo che il Messale di Paolo VI considera quello di poco precedente approvato da Giovanni XXIII nel 1962 quale «forma straordinaria», mai giuridicamente abrogata, che insieme alla «forma ordinaria» del 1970 forma l’unico e medesimo rito. Non esiste rottura alcuna tra i due Messali, la liturgia procede in un divenire dinamico e mai in contrapposizione [6]. Comunque si consideri, il problema è sempre lo stesso: smettere l’atteggiamento dispotico nei confronti della liturgia, credendosi padroni del rito, risvegliando il senso interiore del Sacro. La riforma stessa, d’altronde, conscia del fatto che le eventuali tradizioni in lingue autoctone (fulcro delle domande conciliari) fanno oscillare continuamente la Chiesa tra Babele e Pentecoste, ha ribadito come l’unica lingua ufficiale rimanga il latino, come segno di unità. Ora, naturalmente si cita babele come segno del fatto che nessun linguaggio sarà mai coestensivo con un altro e per ciò potrebbero insorgere fraintendimenti. Invece, noi siamo e dobbiamo essere impegnati in un segno anticipativo della Pentecoste definitiva, quando le lingue della terra non serviranno più: a questo occorre il segno del linguaggio sacro nelle Religioni e del latino nella Liturgia: anticipare l’unità della Pentecoste definitiva [7].
Alla luce di ciò risulta sterile ogni polemica: la liturgia è una realtà di fatto increata, indisponibile all’uomo, in tutto, tranne che nel servirla. L’atto umano nei confronti della Liturgia è un atto diaconale, di servizio, di evangelizzazione. Ognuno è chiamato ad essere liturgo di Cristo, finché la Chiesa ed il mondo non si trasfigureranno in una liturgia cosmica, ovvero una realtà in cui il mondo stesso degli uomini è culti a Dio ed offerta nello Spirito. Quando il mondo intero sarà diventato liturgia divina, quando nella sua realtà sarà diventato adorazione, allora avrà conseguito il suo fine, allora sarà interamente salvo [8]. Il fine ultimo del mondo è l’adorazione.
Come continuare la riforma
È necessaria una riforma della riforma? Riteniamo che la risposta sia negativa. Il Pontefice Francesco ha ben esplicitato come la Liturgia sia il luogo per eccellenza nel quale si incontra Dio: è il luogo dell’incontro. Se è tale, dunque, una continuazione sensata e logica della riforma avanzata dal Concilio Ecumenico Vaticano II è indubbiamente l’atteggiamento di chi ritorna alla presenza del Sacro nel cuore e al mistero che la Liturgia porta in sé. Il vero pericolo non è la riforma, lo esprime bene il Pontefice in Desiderio Desideravi, quanto piuttosto il tentativo di taluni di nazionalizzare o peggio di personalizzare l’Eucarestia. Questo avviene ogni qualvolta un uomo dimentica di essere a servizio e non padrone della Liturgia e la interpola con frasi e parole proprie, con formule e gesti inventati al momento, rischiando di smarrire l’essenziale. Proprio a motivo di ciò sono necessari luoghi che possano essere esemplari, in cui si celebri correttamente. In altri termini è necessario un movimento che possa scaturire dall’interno stesso della Chiesa e che possa procedere nel senso indicato dal Papa, ovvero nel senso dell’attenzione a quel luogo privilegiato ed unico di incontro diretto con Dio stesso.
Certamente, lo scoglio maggiore da superare è il dissenso sulla natura stessa della liturgia. Si tratta della questione circa la struttura fondamentale della liturgia in genere; più o meno consciamente si scontrano qui due concezioni diverse. I concetti dominanti della nuova visione della liturgia si possono riassumere nelle parole-chiave “creatività”, “libertà”, “festa”, “comunità”. Da un tale punto di vista, “rito”, ”obbligo”, “interiorità”, “ordinamento della Chiesa universale” appaiono come i concetti negativi, che descrivono la situazione da superare della “vecchia” liturgia» [9]. La proposta è dunque quella di rimediare all’anomia, e all’anarchia nella liturgia, riaffermando i diritti di Dio su di essa, ciò implica il restauro della disciplina della musica sacra e dei canoni dell’arte sacra, due ambiti strettamente congiunti alla liturgia.
prof. Cristian Lanni
[5] Cfr. J. Ratzinger, Opera omnia,Teologia della liturgia,11, III. Davanti al Protagonista Gamber, 207.
[6] Cfr. Benedictus PP. XVI, Lettera di accompagnamento del Motu Proprio Summorum Pontificum sull’uso straordinario della Liturgia antica: Ad Episcopos Catholicae Ecclesiae Ritus Romani,7 luglio 2007, in AAS, XCIX (2007), 795.
[7] Cfr. J.Mejita, The problem of translation: some linguistic and other considerations, in Benedict XVI and the Sacred Liturgy. Proceedings of the First Fota International Liturgy Conferenze (2008), Neil J.Roy and Janet E.Rutherford ed., Four Courts Press Dublin 2010, 23.
[8] Cfr. Benedetto PP. XVI, Omelia della Messa nella Solennità dei SS.Pietro e Paolo, 29 giugno 2008, in AAS, C (2008), 464.
[9] Cfr. Benedetto PP. XVI, Opera omnia, vol XI,Teologia della liturgia,VI. La questione circa la struttura della celebrazione liturgica, 441.