Gli “indizi” della presenza del Signore: bellezza e armonia vuole essere un approfondimento a cura del prof. Lanni sulla Liturgia presente nella nostra rubrica ABC Liturgico.
Cos’è la Liturgia?
Scriveva Benedetto XVI nella prefazione all’edizione russa del suo libro “Teologia della liturgia” che l’attuale crisi della Chiesa affonda le sue radici nel fraintendimento della forma liturgica, ovvero quell’equivoco che ha portato l’uomo a porre al centro dell’azione liturgica la propria attività e creatività. E poiché la Chiesa vive della corretta celebrazione liturgica, laddove la preminenza di Dio non fosse più così centrale ed evidente nella liturgia e nella vita, allora ne risulterebbe un grave pericolo. D’altra parte, volendo considerare l’argomento da un punto di vista più prettamente antropologico potremmo dire che l’uomo, mettendo da parte Dio, va a sostenere e talvolta corroborare le limitazioni che lo rendono schiavo delle forze materiali, forze che vanno ad opporsi direttamente alla sua dignità. Purtroppo, oggi, le forze materiali sembrano predominare rispetto alle cose di Dio e quindi anche la liturgia sembra non essere affatto urgente.
Liturgia e bellezza
È sempre bello paragonare la liturgia alla bellezza: la misteriosa bellezza dell’incarnazione, la bellezza della Parola eterna che entra nel seno della storia e dei tempi per riscattare l’uomo mediante un’offerta, quella di se stesso nel sacrificio della Croce. Ecco quindi che le chiese diventano come un inno di pietra vivente, canto di luce che loda questo atto così unico e misterioso della storia dell’uomo; ed anche le nostre liturgie, atti che celebrano questa incarnazione, questa bellezza infinita. Nessun rito mai sarà così curato, così perfetto ed elaborato da rispecchiare pienamente la perfezione della bellezza del mistero celebrato, ma potranno tanto più accostarsi ad esso quanto più attente e corrette, fin a poter permettere una pregustazione di tale bellezza. In tutti deve essere viva la coscienza che le nostre liturgie terrene sono la pallida prefigurazione di quella della Gerusalemme celeste, punto d’arrivo del nostro pellegrinaggio.
Il Concilio Ecumenico Vaticano II e le sue ermeneutiche
Sembra, oggi più di ieri, dilagante il dibattito sull’intervento conciliare in materia liturgica, come fosse un combattimento tra Summorum Pontificum e Traditiones custodes. In vero, riteniamo, che la chiave di volta sia nella corretta applicazione di quanto emerso dal Concilio Ecumenico Vaticano II. Nessuno può negare che da più parti della Chiesa il Concilio non sia stato recepito con poca difficoltà; vengono in mente le parole di San Basilio, Padre della Chiesa che dopo il concilio di Nicea scrive dell’applicazione di quest’ultimo come di una battaglia navale notturna, al buio e nella tempesta, come
«il grido rauco di coloro che per discordia si ergono l’uno contro l’altro, le chiacchiere incomprensibili, il rumore confuso dei clamori ininterrotti ha riempito ormai quasi tutta la Chiesa, falsando, per eccesso o per difetto, la retta dottrina della Fede» (De Spiritu Sancto, XXX, 77).
L’ermeneutica della ‘rottura’
E anche nei tempi moderni, come allora, due fazioni sembrano predominare. Da una parte quella dell’ermeneutica della discontinuità o della rottura, la più “famosa” che gode anche del favore dei media e di parte della teologia moderna. Il grande pericolo di questa interpretazione è quello di provocare una rottura tra Chiesa preconciliare e postconciliare. È l’ermeneutica un poco confusa del compromesso: i testi del Concilio sarebbero compromessi per accontentare i nostalgici, ma il vero spirito del Concilio è nello slancio (ideale) ad un futuro non troppo definito e, per dirla con le parole della sociologia, fluido. Certo, è indefinito questo spirito che suggerisce a chi più, a chi meno, lasciando spazio e molto poco lodevoli estrosità.
Precisazione giuridico – teologica
Attenzione, una riflessione giuridico-teologica è qui necessaria: così riflettendo il Concilio è pensato al modo di una assemblea costituente, chiamata per eliminare una vecchia costituzione e legiferarne una nuova. Se così fosse però, la costituente del vaticano II avrebbe bisogno di un “mandante” che conferisce ai costituenti un mandato preciso e che poi conferma quanto legiferato. La Chiesa ha una costituzione? Chi sarebbe il mandante?
Non è la sede per discutere su una tematica che porterebbe via pagine e pagine, ma certamente si può dire che i Padri conciliari non avessero in assoluto un tale mandato: la costituzione della Chiesa, l’atto fondativo, viene dal Signore che ci ha affidato la sua volontà per raggiungere la vita eterna. I Padri conciliari (i Vescovi, dunque) non sono detentori di questa “costituzione”, ma ne sono amministratori (cf. 1Cor. 4,1) e affidatari delle anime (cf. can. 383 §4 C.J.C.) e dunque devono amministrare con la diligenza di un padre, con cura affinché nessuno dei doni del Signore resti nell’ombra. Una visione opposta è ovviamente un errore radicale sul Concilio stesso.
L’ermeneutica della continuità
Alla ermeneutica della discontinuità si oppone una ermeneutica della riforma. Questa era nella chiara intenzione del Pontefice Giovanni XXIII che ha indetto e aperto il Concilio (cf. Discorso di apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II) e in quella del Pontefice che l’ha concluso, Paolo VI (cf. Discorso di chiusura del Concilio Ecumenico Vaticano II).
Tale ermeneutica è quella che si propone di trasmette in maniera pura ed integra la Dottrina, senza travisamenti, senza attenuazioni. È l’ermeneutica che riconosce ai vescovi il diritto-dovere di custodire il tesoro prezioso della Tradizione, non già come i custodi di una cosa antica e per ciò preziosa, ma come lavoratori indefessi che si dedicano con volontà e senza timore ad operare nel mondo con gli strumenti di quel tesoro, con i mezzi che il tesoro della Tradizione offre. Infatti, una cosa è il Deposito della Fede; ovvero le verità immutabili della Dottrina, ricevute per divina Rivelazione, altro è il modo di annunciarle al mondo nella storia conservandone immutati il senso e la portata (cf. S. Oec. Conc. Vat. II Constitutiones Decreta Declarationes, 1974, pp. 863-865).
Per una corretta interpretazione.
È dunque quello del muoversi nel solco della Tradizione il modo di intendere correttamente la riforma liturgica, Epifania di Cristo e della Chiesa: due dimensioni che si coniugano in un’unica azione liturgica, azione in cui sussiste realmente la presenza attiva del Fondatore Divino, il suo operare in mezzo agli uomini. Cristo continua a rendere presente la sua opera di grazia redentrice nella liturgia che è promessa compiuta in Cristo, azione di speranza nel pellegrinaggio verso la trasformazione del mondo che avrà luogo nell’essere di Dio tutto in tutti. La Liturgia è l’uscire da se stessi, dalla propria autoreferenzialità, per immergersi nella grande comunità vivente, nella quale Dio stesso ci nutre. È azione di bellezza, come si diceva, e di armonia.
La musica sacra
I concetti poc’anzi richiamati, introducono ad un ulteriore tema (che insieme alla liturgia sarà oggetto delle riflessione che andremo a rubricare): la musica sacra. La musica, bella e armonica, si può rivedere la bellezza e l’armonia della Chiesa, favorisce la fede e coopera ad una nuova evangelizzazione. Si concretizza così l’actuosa partecipatio del Concilio: partecipare attivamente non è solo parlare ed agire, ma anche e soprattutto ascoltare. Accogliere con i sensi e con lo spirito la Parola che si fa carne viva, anche attraverso la musica. Attraverso la musica sacra, infatti, molte persone sono ritornate a sentirsi toccate, attraversate da Dio nel profondo dell’animo.
Per concludere…
Liturgia e musica nella Chiesa sono due potenti strumenti di evangelizzazione e non due accessori facoltativi da poter “abbellire” secondo il proprio stesso gusto, spesso discutibile. In queste poche righe abbiamo cercato di spiegare le ragioni di una rubrica dedicata alla Liturgia e alla musica sacra. Al connubio tra Liturgia e musica come strumento di una nuova evangelizzazione fondata sulla bellezza, specchio della Bellezza eterna e sull’armonia.
prof. Cristian Lanni