Dormitorio e silenzio notturno è un articolo di Fra Matteo Pietro Igneo che approfondisce i capitoli 22 e 42 della Regola Benedettina. L’analisi e il commento di altri capitoli li potete trovare qui nella nostra rubrica Dentro le Regole.

In questo articolo affronteremo “come devono dormire i monaci” e il “silenzio dopo compieta”. Nel nostro primo articolo abbiamo visto come la “Regula Magistri” (RM) influisca sulla Regula Benedicti” (RB); e proprio nella RM si tratta del dormitorio, nel capitolo dedicato ai decani, che dovevano fare sorveglianza. San Benedetto dedica al tema un capitolo a parte, il 22 che segue immediatamente quello dedicato ai decani (RB 21). Questa distinzione è stata fatta anche tra il capitolo sul consiglio dei fratelli e su quello dell’abate, che nella RM sono trattati assieme. 

I TRE ELEMENTI NELLA RM

Nella RM sono stabilite tre cose: un letto per ogni monaco; rifare bene il letto alla levata; dormire vestiti e cinti. Ciò sembra ai giorni nostri un po’ strano, ma aveva al tempo le sue motivazioni: essere pronti per la preghiera alla sveglia; evitare i pensieri impuri; non perdere tempo a cercare i vestiti al buio rischiando di arrivare in ritardo alla preghiera. La RB conserva tali norme, modificando qualcosa e abbreviando il tema.

La RM prescrive un dormitorio comune, mentre il Santo Patriarca fa riferimento a una o più stanze grandi e a diversi luoghi per i novizi, per i malati e per gli ospiti. In tutte e due le regole è scomparso l’uso delle celle separate, comune nel cenobitismo del secolo precedente, con san Cassiano. L’abbandono della cella a favore del dormitorio comune avviene per evitare i vizi della proprietà privata, della gola e dell’incontinenza. La cella dava al monaco un carattere solitario e contemplativo; il suo abbandono significa che si lascia questo ideale per assicurare la pratica di certe virtù, salvare la povertà e i buoni costumi. 

Quando il santo Legislatore scriveva la Regola (circa il VI sec.), il dormitorio comune era una pratica scontata; con l’evoluzione nel corso dei secoli, specialmente per il sempre maggior impulso dato dal lavoro intellettuale, al dormitorio comune fu sostituita la camera singola o “cella personale”, dove ogni monaco non solo dorme, ma prega o lavora fuori dei tempi e dei luoghi stabili per gli atti comuni. 

IL TEMA DEL SILENZIO

Nella regola di San Benedetto il tema del Silenzio dopo compieta è trattato nel cap.42, che corrisponde per la RM al n° 30. In ambedue le Regole c’è un legame tra i pasti e il silenzio notturno. In tutto il capitolo si dà maggior importanza alla lettura che precede Compieta oltre che al silenzio. Questa lettura ha un valore singolare, di preparazione non solo per la Compieta, ma soprattutto per la notte. Infatti la notte è sia segno del male, delle tenebre spirituali, sia propizia alla riflessione e alla preghiera. San Benedetto prescrive di leggere “quattro o cinque fogli” (v.6), in attesa che arrivino tutti i fratelli. Perché far arrivare tutti? Perché tutti ascoltino la lettura preparatorio per la notte? Per concludere assieme la giornata? Impossibile stabilire il motivo, ma sappiamo che San Benedetto vuole che i membri del monastero siano tutti riuniti nel momento conclusivo della giornata. 

 Quando tutti i monaci sono presenti si canta la Compieta e poi “a nessuno sia più lecito proferire alcuna parola” (v.8). Così la comunità intera si immerge nel grande silenzio della notte. 

IL GRANDE SILENZIO

Dobbiamo anche noi, nel nostro piccolo, scoprire il “grande silenzio” della notte. Il silenzio era al tempo necessario per salvaguardare il riposo di dieci o venti monaci che dormivano nello stesso luogo, ma è ancora oggi necessario per vivere la spiritualità notturna. La notte è infatti il tempo delle grandi rivelazioni dell’antica e nuova alleanza: nel silenzio della notte il Verbo incarnato è apparso per la prima volta tra noi; nel silenzio della notte il nostro Salvatore è risorto; nel silenzio della notte, Gesù si intratteneva a colloquio con il Padre. Tutti esempi che il monaco dovrebbe meditare, in questo grande silenzio, prolungando la preghiera personale, che nasce dalla liturgia e della liturgia è luce e alimento. 

Queste norme scritte per i monaci possono essere anche attualizzate per tutti i cristiani: la preghiera notturna ha un significato di preghiera e di attesa, è la veglia della sposa che attende lo Sposo. Ognuno di noi ha la vocazione particolare di consacrare alla preghiera una certa parte della notte. La durata ha poca importanza; anche una veglia brevissima è opera dello Spirito Santo in noi e può produrre frutti di preghiera. 

Fra Matteo Pietro

Condividi questa pagina!