Nell’articolo precedente abbiamo trattato il “codice spirituale” (cap. da 1 a 7 della Regola); ora affronteremo in modo sintetico ma esaustivo il Codice liturgico, chiamato anche “Opus Dei”, esplicitato nella stessa Regola dal capitolo 7 al capitolo 20.
L’espressione Opus Dei (opera di Dio) nel vangelo di Giovanni indica la vita di fede e l’agire cristiano in senso generale; col trascorrere del tempo, con Opus Dei si intende tutta la vita di orazione del monaco, che comprende la lettura della Parola di Dio, la salmodia e la preghiera silenziosa. Nella regola benedettina, quando si cita l’Opus Dei si fa riferimento in particolare alla preghiera liturgica in comunità: l’ufficio divino, o nel gergo recente, la Liturgia delle Ore.
In questo articolo tratteremo dell’Ordinamento della Liturgia delle ore, di cui si parla dal cap. 8 al cap.18, in quello successivo disserteremo del modo di pregare (Cap. 19 – 20).
Nulla deve anteporsi all’Opera di Dio
Nella mente del Santo legislatore, la liturgia è il cardine che costituisce la vita benedettina, è l’occupazione primaria, poiché “nulla deve anteporsi all’Opera di Dio – Nihil Operi Dei praeponatur” (Cap. 43,3).
Probabilmente, prima della redazione della Regola, i cap. 8-18 formavano un unico fascicoletto, che conteneva tutto il codice liturgico dei monaci; in seguito il Santo Patriarca Benedettino, dopo aver apportato alcune modifiche, inserì tale fascicoletto nella Regola. A conferma di tale ipotesi, vi è il fatto che i cap. 8 -18 sono molto simili tra loro in quanto a argomento, lessico e stile.
Caratteristiche dell’Opus Dei
Soffermiamoci ora sulle caratteristiche dell’ufficio divino. In primo luogo possiamo notare l’interesse per la precisione, con una struttura molto regolamentata di tutti i particolari. San Benedetto aveva un “pallino” per l’ordine e ciò si può notare soprattutto in questi capitoli.
Un’altra caratteristica dell’Opus Dei è la brevità. Rispetto alle due fonti principali, cioè la regola del Maestro e l’ufficio romano classico, San Benedetto abbrevia nettamente la Liturgia delle Ore, aumentando di notte le ore di sonno e di giorno le ore di lavoro. In compenso aggiunge all’Ufficio alcune particolarità espressive di valore teologico: si pensi ad esempio al “Deus in adiutorium”, posto all’inizio delle Ore, citato al cap. 18,1, con cui si invoca l’aiuto di Dio, o al salmo 3, di attesa nei notturni (RB 9,2), o al salmo 66, di attesa nelle lodi (RB 12,1). Inoltre introdusse tutti gli inni a tutte le ore, il Te Deum (RB 11,8) e il Te decet laus (RB 11,10), un inno trinitario greco.
Nella Regola del Maestro, rispetto alla Liturgia delle Ore Romana, vi sono meno salmi ma più elementi accessori, che donano ricchezza e varietà all’Ufficio Divino.
Un’altra caratteristica di tutta la regola è la flessibilità. San Benedetto reputa importante la venerazione per l’Opera di Dio ma, essendo “sempre uomo pratico secondo Gesù Cristo”, non esita a togliere o modificare qualcosa secondo le necessità e le circostanze, perché anche le altre attività monastiche sono molto importanti, come ad esempio il lavoro per il sostentamento materiale e la lectio divina per l’arricchimento spirituale. Certamente lodare Dio è un dovere per ogni monaco, ma rispetto alla regola del Maestro, quella di San Benedetto è più flessibile, esigendo l’osservanza ma concedendo anche dispense individuali.
Oltre alle caratteristiche già citate, ci sono tre principi di grande rilievo per l’orazione :
- La recita del salterio in una settimana (RB 18, 23). San Benedetto chiede si mantenga la recita settimanale, senza gli accorciamenti della tradizione romana e probabilmente bizantina.
- Le ore dell’Ufficio diurno debbono essere sette. San Benedetto per far sì che ci siano 7 ore nell’ufficio diurno aggiunge l’ora Prima; pertanto le ore diurne diventano: Lodi, Prima, Terza, Sesta, Nona, Vespro e Compieta.
- All’Ufficio notturno si debbono recitare dodici salmi sia l’estate che l’inverno, sia di domenica che nei giorni feriali.
Un’ altro elemento importante per la preghiera comunitaria è l’alternarsi tra recita della Parola di Dio e Orazione Silenziosa. Che significa tutto questo? Ai tempi di San Benedetto la recita dei salmi era in genere eseguita da uno o due solisti, che li cantavano, ed era intercalata da un’antifona recitata da tutti; tale modo di recitare i salmi è detto “salmodia responsoriale”. Ora invece la recita dei salmi è suddivisa in due cori e prende il nome di “salmodia antifonica”: vi è una voce contro l’altra. Inoltre, il Santo Patriarca si dimostra innovatore introducendo una logica nella recita dei salmi alle varie ore del salterio; in precedenza, la recita avveniva sempre di seguito: “currente semper salterio”.
Altri importanti elementi sono la preghiera silenziosa dopo ogni salmo e la Colletta salmica. Che cosa è la colletta salmica? La Colletta Salmica è la preghiera che tutti quanti recitano insieme dopo ogni salmo, come specificato dalla regola, al cap. 20,5; Cassiano la definisce invece “orazione che si fa in comune”. Nonostante l’assenza di documentazione certa nell’ambiente monastico contemporaneo san Benedetto, sappiamo da vari commentatori che l’orazione silenziosa dopo ogni salmo e la colletta salmica erano due elementi di grande importanza per il santo.
Concludiamo questo articolo con le indicazioni di orario dell’Opus Dei. Ogni ora varia secondo le stagioni e inoltre viene diviso l’anno in varie tappe segnate da date importanti dell’anno liturgico: inizio di Quaresima, Pasqua, Pentecoste, 14 settembre, inizio di Ottobre e inizio di Novembre.
Finisce qui la prima parte della spiegazione sull’ufficiatura dell’Opus Dei benedettino. Nel prossimo articolo tratteremo l’appendice sui segnali, sui luoghi dell’oratorio, sul modo di pregare e su cosa debba fare un monaco fuori dal monastero per pregare in comunione con la comunità monastica.
Fra Matteo