La resurrezione della carne in Sal. 62 (eb. 63)
Il desiderio della carne
Nell’ultima meditazione su Sal. 62 (eb. 63) ci eravamo lasciati fra le pieghe della vita terrena, insabbiate da un deserto faticoso, in cui l’anima cerca anelante il respiro di Dio per vivere. Proseguiamo ora nella riflessione cercando di scoprire nuovi posti segreti fra le lettere sacre della preghiera salmodica. Se riusciamo ad inquadrare abbastanza chiaramente la frase “ha avuto sete di Te l’anima mia”, sembra più difficile comprendere la parte successiva di versetto che, in una traduzione più letterale di quella presente nell’articolo precedente, recita “in molte maniere di Te (ha avuto sete) la mia carne”. Per quale motivo e in che senso il salmo parla anche della carne?
Nel sopravvivere, il vivere
Quando la carne ha sete, ha sete d’acqua e si cerca di accontentarlo. Ogni volta che il corpo ha fame, ha fame di cibo e mangiamo per saziarci. Quando siamo stanchi, la carne ha bisogno di riposo e, dormendo, saniamo ogni stanchezza. Ma se guardiamo più attentamente fra le righe di questo accontentare il fabbisogno quotidiano di noi esseri “viventi”, ci rendiamo conto che è l’espressione più evidente della nostra finitezza, corruttibilità, del nostro cambiamento continuo e, di contro, del nostro continuo desiderio, anche carnale, di immutabile eternità. L’avverbio greco che introduce la condizione di sete della carne è ποσαπλῶς, “in molte maniere”: l’avverbio indica, da una parte, la sete terrena della carne di sopravvivere al succedersi del divenire, dall’altra, la sete della carne di vivere godendo della Vita eterna.
Come angeli
Noi saremo come angeli in Cielo, non avremo più sete, né più fame, non saremo stanchi, non saremo malati. Avremo fame e sete solo della Sapienza, della Verità, della Luce e saremo saziati nell’unico eterno sguardo di Dio. Lui ha promesso la resurrezione della carne, l’ha promessa a ciascuno di noi, sin dal primo giorno della nostra esistenza, sin da quando ha meditato il nostro essere nel suo Pensiero. Lo ha promesso anche a chi fa fatica a crederci, guardando all’imputridirsi dei cadaveri e al dissolversi di ogni cosa del nostro corpo. Ma, come dice Agostino, “se Dio ci ha creati, quando non eravamo, non potrà ricomporre una carne che già esisteva?”.
Il sapore dell’eternità
Per questo motivo, volgendo di nuovo lo sguardo verso il deserto di questo nostro cammino terreno, l’occhio interiore medita alla sete della carne, la impreziosisce e la sostanzia della fame di quel Cielo promesso da Dio. Tutto diventa più dolce e acquisisce il sapore dell’eternità: anche la sabbiosa sofferenza d’ogni gesto di anti-carità che il nostro cuore riceve avrà il sapore tremendamente dolce della sofferenza del Cristo. Lui che ci dice di seguire la via della croce per accedere, una volta e per sempre, alle Porte del Cielo.