Chi li piange questi morti? è una meditazione su un episodio di attualità a partire dal passo del Vangelo di Luca, celebre come il Buon Samaritano.
Ci sono frasi del Vangelo che ancora mi rimangono indigeste per loro dirompente ed implacabile verità, tra esse, in questi primi mesi dell’anno, una non mi lascia in pace: “ vide e passò oltre”. E’ lo stesso Gesù a pronunciare questi due verbi, nel capitolo decimo del Vangelo di Luca, in uno spazio di versetti esiguo.
Siamo nel cuore della parabola del buon Samaritano narrata da Gesù per cercare di dare risposta all’interrogativo di un dottore della Legge su chi fosse il suo prossimo. Tutti o quasi conosciamo questa pericope evangelica, forse a memoria, ma in questi giorni questa coppia di verbi mi interroga non poco: “Si può guardare qualcuno morire e passare oltre? Si può lasciar morire qualcuno e non deviare minimamente la nostra strada, nemmeno forse fermarsi a guardare? Si può far finta di nulla mentre qualcuno sta morendo, nemmeno piangere?”
Quante volte, leggendo queste righe, abbiamo stigmatizzato, criticato l’atteggiamento del sacerdote e del levita e lodato quello del samaritano, tutti e tre hanno visto ma uno solo, il meno probabile secondo le nostre logiche, si è fatto prossimo.
E torno – non mi chiedete il perché – alle tante persone che in questo anno 2018, appena conclusasi, sono “morte” nel mio piccolo paese: volti conosciuti chi più, chi meno, assenze piante e gridate, cerimonie di commiato dense di amore ed amicizia, gesti di vicinanza alle famiglie dei defunti. Allo stesso tempo il mio pensiero vaga ai quei titoli di giornale che affollano le nostre giornate, non ultimo quello di qualche tempo fa: “Migranti, naufragio al largo della Libia: 117 morti, tra loro donne e bambini” e mi sorge spontanea una domanda, già pronunciata da Papa Francesco nel luglio del 2013, ma chi li piange questi morti?
E’ vero – come sostengono molte teorie – che l’indignazione, il dolore, la rabbia hanno a che fare con la prossimità, più ci è prossima una persona più proviamo emozioni forti, più diviene lontana, più le emozioni perdono di intensità, di colore, di incisività. Se è “normale”, quindi, che il nostro dolore sia più forte alla notizia della morte di un familiare, più che all’indomani del decesso di un altro uomo o donna sconosciuta, ciò che credo non sia “normale” è questo quotidiano nostro “vedere e passare oltre” alle centinaia di morti che vediamo accadere in mare, sui campi di battaglia, di fame, per eccesso di inquinamento, spesso causato dal nostro tenore di vita.
Uomini, donne, vecchi e bambini che non hanno diritto meno di noi di vivere, e che forse non hanno avuto una fortuna: non nascere “al di qua” del Mediterraneo.
Così mi viene il sospetto che per divenire “samaritani” dobbiamo passare per l’evidenza che noi – o buona parte di noi – in verità non è distante dall’essere come il sacerdote e il levita.
Un cuore indurito – l’evangelica sclerocardia – che ci permette di vedere e andare oltre e farlo anche con una certe disinvoltura, ammantata da tanti bei ragionamenti, spesso anche giusti e sani.
Una raggelante indifferenza – che fa differenze – la quale condanna alcuni e salva altri.
Un’indifferenza che dovrebbe porsi quella domanda allo specchio: chi lo piange questo morto? Quale? Il nostro cuore – così freddo, così indurito – che ha bisogno di essere rianimato e ri – amato. Poniamocele queste domande di senso, non per sentirci in colpa, ma per assaporare la più bella delle libertà quella dal nostro egoismo, la libertà di amare.
Altre meditazioni sulla Parola di Dio le potete trovare qui sul nostro sito: Le Grain de Blè.