La Professione di Pietro: un Credo che attraversa i secoli è saggio, ad opera di Paracleto4, sul tema: del Credo in occasione del 1700° anniversario del Concilio di Nicea e dell’Anno Giubilare della Speranza.

Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente” (Matteo 16.16). Dalle rive di Galilea alle mura di Nicea Quando Pietro, un semplice pescatore, pronunciò queste parole a Cesarea di Filippo, non poteva immaginare che la sua professione di fede avrebbe attraversato i secoli.

Quel momento, narrato nei Vangeli con diverse sfumature, rappresenta la prima formulazione di quello che sarebbe divenuto il fondamento della fede cristiana.

Nel 325 d.C., a Nicea, questa stessa confessione venne espressa in modo sistematico dai 318 vescovi riuniti sotto l’egida dell’imperatore Costantino. Il Concilio affrontò il pericolo dell’arianesimo, che negava la piena divinità di Cristo, e con il Simbolo niceno definì con precisione dottrinale quanto già Pietro aveva proclamato: Gesù è il Figlio di Dio, consustanziale al Padre.

La formula “Credo in un solo Dio… e in un solo Signore, Gesù Cristo, unigenito Figlio di Dio, nato dal Padre prima di tutti i secoli… Dio vero da Dio vero, generato, non creato, della stessa sostanza del Padre” riprende e approfondisce la dichiarazione pietrina.

L’insistenza sul termine homoousios (della stessa sostanza) risponde alla necessità di affermare in modo inequivocabile la divinità di Cristo, già riconosciuta da Pietro per rivelazione divina.

Il cammino del Credo: da confessione personale a professione comunitaria

La professione di Pietro nasce come risposta personale a una domanda diretta di Gesù: “E voi chi dite che io sia?“. Questo aspetto personale della fede non venne smarrito a Nicea, ma si arricchì di una dimensione comunitaria. Il Credo niceno, infatti, non è formulato al singolare (Io credo), ma al plurale (Noi crediamo), sottolineando che la fede non è solo un’adesione individuale, ma anche un’esperienza ecclesiale.

Questa doppia natura della fede si riflette ancora oggi nel pellegrinaggio: ogni pellegrino cammina con i propri passi, ma avanza insieme a una moltitudine che ha percorso o percorrerà lo stesso cammino di fede.

L’Anno Giubilare della Speranza: il Credo che si fa cammino

Nell’Anno Giubilare della Speranza, mentre milioni di credenti si mettono in viaggio verso Roma, il legame tra fede e speranza appare più evidente che mai. La professione di Pietro non è solo un atto di fede, ma anche di speranza: riconoscere in Gesù il Messia significa affidarsi alla realizzazione delle promesse divine.

Analogamente, i Padri conciliari, formulando il Credo, non si limitarono a definire dogmi, ma diedero voce alla speranza cristiana: la certezza che Cristo, essendo vero Dio, ha il potere di redimere l’umanità.

Il loro lavoro non fu un esercizio di teologia astratta, ma una risposta vitale alle esigenze delle comunità cristiane del tempo. Nel nostro presente, segnato da crisi e incertezze, il Credo continua a offrire un fondamento solido alla speranza cristiana. Professare che Gesù Cristo è “Dio vero da Dio vero” significa affermare che la storia non è abbandonata al caos, ma custodita nelle mani di Colui che ha vinto la morte.

La speranza cristiana non è semplice ottimismo, ma certezza che il male e la sofferenza non hanno l’ultima parola.

Il pellegrinaggio come metafora del credere

Chi oggi si dirige verso la tomba di Pietro, sotto la basilica che custodisce simbolicamente le “chiavi del Regno”, rivive in qualche modo quel momento in cui il pescatore di Galilea riconobbe nel suo Maestro il Figlio di Dio.

Il pellegrinaggio non è solo un ricordo di un evento passato, ma la rinnovata attualizzazione di un incontro con Cristo. Il cammino verso la Città Eterna è segnato da difficoltà: alcune strade sono agevoli, altre impervie. Anche la fede conosce momenti di luce e di prova, ma il pellegrino procede sostenuto dalla speranza, che lo spinge oltre gli ostacoli.

Il Credo come fondamento della speranza

A 1700 anni dal Concilio di Nicea, la professione di Pietro continua a risuonare nel cuore dei credenti. Le sue parole e quelle dei Padri conciliari si intrecciano con le nostre quando, nella liturgia o nella preghiera personale, proclamiamo: Credo.

In questo Anno Giubilare, mentre i pellegrini convergono verso Roma, siamo chiamati a riscoprire il senso profondo di questa professione di fede. Pietro riconobbe in Gesù il Figlio del Dio vivente non per deduzione logica, ma per rivelazione divina: “Né la carne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che sta nei cieli” (Mt 16, 17).

Oggi, come allora, la fede non è il risultato di un ragionamento umano, ma il frutto di un incontro con Dio. Le parole del Credo niceno “Dio da Dio, Luce da Luce” continuano a illuminare il cammino della Chiesa e dell’umanità. Difendere la divinità di Cristo, ieri come oggi, significa custodire la speranza stessa della nostra redenzione. Se Cristo non fosse pienamente Dio, la nostra salvezza sarebbe vana; ma poiché Egli è il Figlio del Dio vivente, possiamo camminare con la certezza che il nostro pellegrinaggio non è vano, ma ci conduce verso la Città Eterna, dove la fede diventerà visione e la speranza si compirà in pienezza.

@Paracleo4.

Trovi altre riflessione di natura spirituale sul nostro blog Le grain de blè.

Condividi questa pagina!