La storia del terzo giudice: Samgar
I miei nonni paterni erano contadini, con tanto lavoro e poca terra. Poche, per loro, anche le occasioni di far festa. Una di queste era Pasquetta (o lunedì dell’Angelo).
Quel giorno tutta la famiglia si metteva in marcia verso il santuario di San Valeriano: cinque o sei chilometri di sentiero a mezza costa, percorsi a piedi, attraversando boschi di castagni e faggi. Nel tascapane c’erano un bottiglione di vino, qualche uovo sodo, due pagnotte di “pan barbarià” (cioè imbastardito con la segale) e un salame di quelli fatti in casa e conservati nel grasso.
Arrivavano al santuario per l’ora della messa, cui seguiva una breve processione che terminava con la benedizione degli “ujon” (letteralmente “grande ago”). Con quel nome si indicava un lungo bastone di legno con la sommità appuntita che, oltre alla funzione pratica, ne assumeva anche una religiosa. L’uso pratico era quello di governare i buoi che trainavano i carri e aravano i campi; la funzione religiosa, invece, consisteva nella protezione della stalla da incendi e malattie del bestiame.
In italiano questo strumento si chiama “pungolo da buoi”, e lo troviamo nel Libro dei Giudici, accostato a un personaggio minore cui sono dedicati solo due scarni versetti (la lunga premessa autobiografica è a beneficio di chi non ha familiarità con gli strumenti agricoli del secolo scorso).
Stiamo parlando di Samgar, figlio di Anat (nomi che starebbero benissimo anche in una saga fantasy!). Alcuni esegeti sostengono che si tratti di uno straniero, un hurrita che, curiosamente e insolitamente, ricoprì il ruolo di giudice in Israele. In ordine cronologico, è il terzo giudice dopo Otniel ed Eud. Di lui parla, o meglio “canta”, la giudice Debora (faremo presto la sua conoscenza), dicendo che ai suoi tempi «erano deserte le strade e i viandanti deviavano su sentieri tortuosi. Era cessato ogni potere in Israele».
In altre parole: ai tempi di Samgar regnava l’anarchia, e le strade erano infestate da briganti che agivano impuniti, non essendoci alcuna autorità. Pertanto, chi si metteva in viaggio era costretto a percorrere vie secondarie, sperando di raggiungere sano e salvo la propria meta.
Samgar sorge dopo gli ottant’anni di pace che Eud aveva ottenuto sconfiggendo i Moabiti. Nel frattempo, però, erano sorti nuovi nemici che daranno non poco filo da torcere a Israele: i Filistei. Erano questi una popolazione costiera, stanziata lungo il litorale tra le attuali Gaza e Tel Aviv. Stranieri per eccellenza, probabilmente originari dell’Asia Minore, senza alcun apparentamento con gli ebrei. E per questo motivo particolarmente mal visti.
Ed ecco che finalmente arriviamo all’unico versetto esclusivamente dedicato a Samgar, che mette insieme tutti i pezzi: «Dopo di lui (Eud, n.d.r.) ci fu Samgar, figlio di Anat. Egli sconfisse seicento Filistei con un pungolo da buoi; anch’egli salvò Israele» (Gdc 3,31).
Non possiamo non notare, però, che il versetto successivo ignora totalmente questo personaggio: «Eud era morto, e gli Israeliti ripresero a fare ciò che è male agli occhi del Signore» (Gdc 4,1).
Per questo motivo, molti studiosi sostengono che l’inserzione di Samgar tra i giudici sia stata tardiva e anche un po’ maldestra, forse per giustificare la menzione che di lui fa Debora.
Al di là di queste pur importanti questioni esegetiche, a noi interessa il messaggio teologico che ci giunge attraverso questo personaggio, cui sono state dedicate così poche parole. Samgar, del resto, si caratterizza proprio per la capacità di ottenere il massimo attraverso il minimo.
È chiaro a tutti che un pungolo da buoi non è un’arma. Il suo puntale, anche se in metallo, non era fatto per ferire né tantomeno per uccidere (i buoi erano un bene prezioso). Eppure, quest’uomo, servendosi di un umile strumento agricolo, sconfigge seicento uomini. E non uomini qualunque, ma Filistei, che non erano certo estranei all’arte della guerra.
Come abbia fatto, la Bibbia non ce lo dice. Ciò che è chiaro è il messaggio, che sarà applicato anche ad altri giudici e a numerosi personaggi dell’Antico Testamento: Dio non ha bisogno di grandi eserciti o di mezzi potenti per portare a termine i suoi piani.
Come si legge nel Salmo 147: «Egli non apprezza il vigore del cavallo, non gradisce la corsa dell’uomo. Al Signore è gradito chi lo teme, chi spera nel suo amore».
Questo basta a Samgar per salvare Israele.
E a noi, che cosa dicono i pochi versetti dedicati a questo giudice?
A tutti è successo di trovarsi nella situazione di voler portare a termine un impegno, ma di scoprirsi sprovvisti dei mezzi necessari. Facile, a questo punto, scoraggiarsi. La tentazione di buttare la spugna è comprensibile.
Ma la logica di Dio apre sempre nuove possibilità a chi è disposto e determinato a compiere la sua volontà.
«Nulla è impossibile a Dio» (Lc 1,37), dice l’angelo Gabriele a Maria dopo averle annunciato: «Concepirai un figlio, lo darai alla luce e lo chiamerai Gesù» (Lc 1,30).
A Dio basta il nostro “sì”.
Clicca qui per ammirare la bellezza del volto di Samgar, dipinto dall’artista americano Kevissimo.
Patrizio Righero