Il primo stupore percepito, scendendo dal treno, dopo quasi dieci ore di viaggio, è questo sole che tramonta placido sul mare. Unica città italiana dell’Adriatico – mi dicevano – a vantare un tale spettacolo. Ma Trieste è molto altro e in questa settimana è stata “culla” della cinquantesima settimana sociale. Non starò qui a raccontarvi la Settimana Sociale dall’esterno, ciò che è avvenuto, cosa è stato detto, tanti colleghi ed amici sono più competenti di me in questo, ciò che scriverò qui sono le sensazioni, le emozioni, i sentimenti che mi porto dietro e dentro dopo questi giorni.

E’ forse il racconto di un eterno, o meglio il secolare, paradosso che i cristiani portano dentro dall’inizio della Chiesa. II paradosso sempre nuovo della Lettera a Diogneto. Il racconto di persone che si spendono per l’altro nonostante l’altro non lo sappia o forse non lo saprà mai e in questo macro-racconto vorrei narrarvi un altro racconto più piccolo che tiene in sé altre storie d’esistenza, quello dei missionari digitali.

I missionari – per definizione – sono coloro che vengono mandati, inviati verso qualcuno che inconsapevolmente ha bisogno della vicinanza di Dio. I missionari digitali sono coloro che camminano ed abitano l’ultimo dei continenti emersi: il digitale. Sulla benedetta scia – come ci ricordava Padre Lucio – di Teresa di Lisieux e di Francesco Saverio. Terra di sfida e contraddizioni, terra di missione e di passione. Una terra emersa dove Dio è presente anche se non viene nominato ed è qui la sfida quel dirsi di Dio che si traduce nel suo darsi. Una terra di ascolto e di presenza.

Missionari digitali nati dentro un altro paradosso – sottolineato da qualcuno di noi – per cui il Covid distanziamento sociale ha comportato un avvicinamento orizzontale, persone che si credevano lontane si sono rese vicine, prossime. E’ in questo spazio che noi compiano il nostro servizio perché tale è, noi non siamo in competizione ma una fraterna collaborazione, ognuno con i propri carismi, i propri limiti e i propri sogni e quella sera – quando intorno ad una stessa tavola – ci siamo guardati negli occhi abbiamo capito che non eravamo isole bensì arcipelaghi, ognuno “connessi” da un’unica persona: il Cristo.

E’ proprio il Cristo che dona sapore a queste relazioni, che dona stupore lì dove siamo troppo abituati a vedere delle dinamiche tossiche e consuete. Lì dove ci si aspetta competizione c’è collaborazione, dove si è abituati a vedere autoreferenzialità egoica, ho trovato servizio, lì dove ci si aspetta chiusura elitaria vi è una comunione accogliente, dove dovrebbe esserci estraneità ci sono invece sororità e fraternità. E’ questa gioia, è questo stupore che la Settimana Sociale mi ha donato e che vorrei custodire e gustare a lungo.

Paride

Altri articoli del nostro blog li potete trovare qui: www.legraindeble.it

Condividi questa pagina!